(di Elena Chiti) Se Faraj Bayraqdar non scrive in italiano – come penso di poter sostenere senza timore di smentite – e se internet non è una giungla ma uno spazio con regole di rispetto per le produzioni intellettuali non dissimili da quelle che vigono per il cartaceo – come penso di voler sostenere al di là di possibili smentite sul piano concreto – non si capisce perché si possa citare un’intera poesia di Faraj Bayraqdar da me tradotta e pubblicata su SiriaLibano, senza menzionare la traduttrice né la fonte.
Dimenticanza che si ripete – credo – per altri traduttori e altre fonti non identificati all’origine dei passaggi da poesie siriane citati dal giornale Glob011, in un “Appello a poeti e traduttori” a manifestare solidarietà al popolo siriano diffondendone la produzione poetica attraverso traduzioni in lingua italiana.
È triste constatare che un appello redatto proprio da una collega traduttrice, in cui si invitano i traduttori ad “aiutare a produrre le traduzioni e a far circolare quelle già esistenti, ma anche a diffonderle attraverso siti e blog ai quali collaborano (come ha già iniziato a fare il giornale glocal Glob011)” – si scorda di menzionare gli altri traduttori e gli altri siti e blog che facevano autonomamente la stessa cosa e che sono all’origine dei passaggi dalle poesie siriane citate ad esempio.
Insomma, condivido la voglia di sensibilizzare il pubblico attraverso le traduzioni, viste come una potente arma culturale, ma bisognerebbe innanzitutto sensibilizzare se stessi.
Non mi permetterei mai di appropriarmi delle poesie già tradotte da Pina Piccolo per Glob011 senza menzionare la traduttrice e il giornale di riferimento e chiedo alla collega – con questa sorta di appello all’autrice dell’appello – di fare lo stesso con me e con SiriaLibano, così come con gli altri traduttori e gli altri siti “lost… in quotation”.
Mi dispiace molto che Lei abbia interpretato il fatto che il suo nome non compariva come indice di poca importanza assegnata da me al ruolo dei traduttori. Come ha detto anche Lei, sono una traduttrice e sono cosciente del fatto che spesso il nostro lavoro viene poco riconosciuto. Avrà notato però che la poesia era nel contesto di un “assaggio” di diversi stili e tematiche dei poeti siriani ed era l’unica ad essere intera. Nel contesto dell’appello non si può appesantire il testo con tutte le informazioni, avrei dovuto farlo per sei “assaggi” e alla fine il succo dell’appello si sarebbe perso. Era chiaro, o almeno deducibile, che nessuno dei sei autori scriveva in italiano. Se ha notato, nel ripubblicare le poesie intere, una alla volta, dove abbiamo potuto abbiamo messo il nome dei traduttori (in alcuni casi non erano nei siti in cui abbiamo trovato le poesie).
Potremmo procedere in due modi: se lei vuole la citazione intera, ci conviene rimuoverla dal contesto dell’appello e rimetterla come poesia singola con la citazione intera come ho fatto per le altre, oppure potrei rimuoverla completamente, ma sarebbe un peccato perché è una poesia molto forte ed efficace. Comunque, vorrei chiarire che non mi sono appropriata della “sua” poesia (non ho scritto che l’ho tradotta io), mi sono presa la briga di diffonderla e dubito che l’autore stesso se ne possa essere offeso, specialmente visto che non c’è stata una grande mobilitazione da parte degli specialisti per richiamare l’attenzione sulla Siria in questo momento così delicato. Infatti l’idea dell’appello mi è venuta dopo essere stata a un presidio a Bologna in cui c’erano solo 3 italiani e una trentina si siriani che denunciavano la repressione. Comunque se mi vuole indicare come procedere…
Gentile Pina Piccolo,
non trovo che citare i nomi dei traduttori e delle fonti appesantisca (si può fare in piccolo, in corsivo, in basso, in nota, come si vuole), ma trovo doveroso farlo anche per i brevi o brevissimi passaggi. Per una duplice ragione di trasparenza.
In primo luogo, la trasparenza ha a che vedere con la visibilità dei traduttori, che hanno fatto un lavoro (una traduzione) che è giusto riconoscere. Non basta ricordare l’ovvietà del fatto che i poeti citati non scrivono in italiano… il mio titolo era provocatorio! Non basta, perché senza il lavoro di uno specifico traduttore, quella specifica traduzione italiana non esisterebbe e deve essere invece riconducibile a qualcuno, a una persona con un nome e un cognome, o uno pseudonimo, ma qualcuno.
Questo – ed è il secondo punto che voglio sollevare – anche per una questione di responsabilità: non tutte le traduzioni si equivalgono, ci sono traduzioni buone e cattive, e un lettore dovrebbe sempre poter chiedere ragione a un traduttore delle sue scelte traduttive. Perché non bisogna dimenticare che è il lettore il fine ultimo del processo di comunicazione che si chiama letteratura. Non il traduttore.
E comunque non mi sento affatto espropriata di una “mia” poesia, come scrive lei fra virgolette, come per far pensare che ho una sorta di frustrazione da autore mancato. Per carità! Sono perfettamente cosciente e immensamente fiera di esercitare un mestiere che è sempre un mezzo e mai un fine in sé, nel panorama culturale.
La poesia è di Faraj Bayraqdar. Non è mia e non la sento mia. La traduzione invece – questo anello mancante nella catena che va dal poeta che scrive in una lingua al lettore che legge in una lingua altra – questa la sento mia. Non come arte (mi fa bonariamente sorridere chi parla della traduzione in questi termini!), ma come opera di artigianato, da operaio specializzato. Di questo riconoscimento per il mestiere, mio e di altri traduttori non citati, mi sono sentita espropriata. Della mia traduzione senza virgolette.
Riguardo alla possibilità di pubblicare la poesia “Matrioska siriana” di Bayraqdar, citando me e SiriaLibano, direi che né per me né per la redazione c’è alcun problema. Quanto alla mobilitazione di specialisti italiani per richiamare l’attenzione sulla Siria… provi a leggere SiriaLibano!
Elena Chiti e la redazione di SiriaLibano
In quanto responsabile dell’associazione Piemondo.onlus che è l’editrice del sito glob011, mi sento di intervenire in questo scambio.
Il buon vecchio consiglio di dare a Cesare ciò che è di Cesare è più che mai di circostanza in questo caso. Abbiamo sbagliato. Non citare né il nome della traduttrice, né quello del sito di provenienza era un errore ce ne assumiamo la responsabilità e chiediamo scusa alla parte lesa.
Quella di Pina (e che noi tutti della redazione, forse, sosteniamo troppo poco), però, è una battaglia contro il tempo. In Siria succede quello che succede e tutti fanno finta di guardare altrove, in attesa di dichiarare inevitabile il prossimo intervento umanitario armato… Pina ha proposto questa iniziativa per tentare di attirare l’attenzione sul problema che vive l’antica terra del Sham in questo momento.
Credo che (tenendo anche conto della situazione), l’incidente si poteva risolvere in un paio di mail. Ma se ha dato l’occasione ad una discussione interessante sui diritti e sul futuro dei traduttori, e anche sul posto della letteratura araba, in Italia, niente di male. Ci ha permesso anche di scoprire il sito SiriaLibano, che mi sembra ricco e ben aggiornato, ancora meglio.
Ma glob011 è un sito di informazione, prima di tutto locale. Soprattutto piccolo e con poche risorse. Di problemi ne possiamo affrontare uno per volta. E ancora ancora… Per ora, quello della situazione del paese e del silenzio che lo circonda rimarrà la nostra priorità.
Del futuro dei traduttori e della letteratura araba in Italia lo affronteremo appena troviamo tempo, spazio e forza.
Cordiali saluti
—
P/ la redazione di Glob011
Karim METREF
Gentile Karim Metref, scuse accettate e senza rancore, nessun problema!
Quanto all’urgenza in Siria che vi impedirebbe di occuparvi di letteratura araba e di traduzione, temiamo di non aver capito: proprio di traduzione di poesia siriana si occupa la vostra rubrica… perciò non ci sentiamo in colpa per avervi risposto sull’argomento!
In bocca al lupo a lei e alla sua redazione per tutti i vostri progetti e… in bocca al lupo anche a noi per i nostri (temiamo ahimè che i “potenti mezzi a disposizione” di SiriaLibano siano stati sopravvalutati!).
Buone cose e alla prossima
Elena Chiti e la redazione di SiriaLibano