Nel libro Bergoglio, sfida globale da poco in libreria (Castelvecchi), Riccardo Cristiano afferma che molte rappresentazioni del conflitto siriano hanno teso a mettere in crisi il dialogo interreligioso per motivi politici e ideologici e dà voce ai cristiani orientali critici delle modalità dell’intervento russo.
Ne pubblichiamo qui di seguito un passo.
Il 26 luglio 2015, quando Papa Francesco ha rivolto il suo appello per la liberazione di padre Dall’Oglio, «stimato religioso», molti sostenitori dell’opzione cittadinanza, sempre sostenuta dal gesuita romano, hanno gioito. Rinunciare a questa opzione avrebbe ripercussioni enormi, non solo nel mondo arabo, ma in tutta l’area di cui abbiamo parlato, il vasto mondo euro-mediterraneo del «vivere insieme».
Ma l’opzione protezione rimane forte, per alcuni fortissima. Con un super protettore, Vladimir Putin, lo zar cristiano di quella terza Roma che si candida a tutelare – con la sua influenza sui sotto-zar locali – i cristiani. I suoi metodi sembrano spicci ma giusti: giusti per cosa? Pochi ricordano il vero lascito delle imprese imperiali, latine o russe. Il professore libanese Antoine Courban ha scritto in un articolo dal significativo titolo Una crociata simile al jihadismo dell’Isis, sul quotidiano «L’Orient-Le Jour»: «Maggioranza nell’Oriente prima delle crociate, i cristiani si ritrovarono ridotti al 4 o 5% della popolazione nel 1510, quando gli ottomani cancellarono i maluchi. L’esperienza imperiale ottomana li fece faticosamente tornare a rappresentare il 25% della popolazione».
Poi cominciarono nuove tragedie. Il 30 settembre 2015, quando il portavoce del patriarcato russo, padre Vsevolod Chaplin, ha dichiarato che l’intervento militare russo è una «guerra santa», molti hanno tremato. Aggiunge infatti Courban, nel citato articolo: «Ciò che è gravissimo è che questo fa piombare la Moscovia cristiana in un millenarismo apocalittico simile a quello dello Stato Islamico e dei mullah di Teheran».
Non a caso nei giorni del Sinodo sulla famiglia dell’ottobre 2015 il patriarca Luis Sako, padre sinodale, ha affermato: «Non c’è nessuna guerra santa. Noi non possiamo fare il gioco dei musulmani jihadisti parlando di guerra santa. C’è il diritto di essere protetti, da un pericolo che è divenuto gloale. Il problema è che questi bombardamenti sono inefficaci». Forse lo stesso Putin ne è consapevole, almeno secondo coloro che ritengono abbia altri progetti.
Lo zar protettore raccontato dal «santo ortodosso»
Alexander Ogorodnikov è definito da molti di quelli che lo conoscono bene «un santo ortodosso». Tra questi suoi amici c’è certamente l’onorevole Mario Marazziti, tra i fondatori della Comunità di Sant’Egidio. Lo conosce da anni e mi ha raccontato più volte la storia di Alexander, organizzatore di seminari sulla rinascita religiosa ai tempi dell’Urss. Un’attività che gli causò la condanna all’ergastolo, poi commutata in nove anni di lager. Gli avevano offerto un’alternativa, l’esilio, ma lui scelse la via della Siberia. Quando ne ho avuto l’occasione, durante uno degli incontri internazionali per la pace promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, gli ho chiesto di spiegarmi chi fosse Putin, visto che ai tempi dell’Urss capivamo tutto pur non sapendo nulla, mentre oggi sappiamo tutto ma non capiamo nulla. Lui mi ha risposto così:
Quando crollò il sistema sovietico, la democratizzazione non venne governata. Tutto avvenne come se all’improvviso ci avessero scarcerato. Tutto inatteso, tutto turbolento. Quel processo così difficile e delicato avrebbe potuto essere governato dalla Chiesa ortodossa, se si fosse «convertita e purificata». Dovevamo dare alla nazione un esempio di purificazione dalla vita totalitaria. Non è andata così. Solo nell’episcopato lituano si è sentita qualche voce esprimersi in questo senso.
Così il processo di democratizzazione è stato un processo di trasformazione di alcuni dirigenti sovietici in democratici, con la cooptazione di qualche dissidente interessato all’impresa. Eltsin non era forse un autorevole dirigente del Pcus? Lui negli anni Settanta aveva guidato il partito a Ekaterinburg, dove sono state cancellate le tracce dell’eccidio della famiglia imperiale. Con Eltsin i trasformisti hanno dato vita alla nuova élite che si è enormemente arricchita di nascosto. Lo ha fatto di nascosto, complice l’enormità dello spazio, e si è enormemente arricchita, complice l’enormità delle nostre risorse naturali, che non conosciamo nella loro interezza. Gajdar è stato il simbolo di questa nuova oligarchia, che suddivisa in correnti si suddivideva in fette le ricchezza del Paese.
L’ultimo Eltsin, ubriaco e telecomandato, lo ricordano tutti: doveva essere sostituito urgentemente per tutelare gli interessi della cricca. È stato questo il clima nel quale si è scelto Vladimir Putin: conosco la mentalità del suo circolo di fedelissimi, dal momento che è uno di loro ad avermi processato.
Nel ’93 io venni incluso nella commissione incaricata di redigere la nuova Costituzione. C’erano tantissime persone di assoluto valore, avevamo incontri pubblici, al Cremlino, ripresi in diretta dalla televisione. Solo quando abbiamo finito il nostro lavoro, con un risultato che io definii e definisco eccellente, ho capito il perché di tanta attenzione: siamo stati usati come utili idioti. Infatti la nuova Costituzione capovolgeva quella da noi proposta, i deputati trasformati in semplici passacarte; impossibile elaborare una proposta di legge che non fosse di ispirazione presidenziale. Comunque decisi di candidarmi alla Duma: mi dissero di no, che non lo ritenevano opportuno; ho insistito, non hanno accettato.
Ricordo un altro componente di quella commissione che aveva preparato un dossier con tutte le falsificazioni dei risultati elettorali e gli altri abusi perpetrati in quel periodo. Aggredito per strada, morì in ospedale. Dunque Putin non è mai stato eletto: lui è stato imposto dalla cricca, dagli oligarchi. Sono stati loro a finanziare la campagna militare nel Caucaso, a cominciare dal Daghestan, quindi in Cecenia. Perché Putin, cioè il nuovo sistema, doveva emergere come «il vincitore».
Quando i ceceni attaccarono in Daghestan, quei gruppi potevano essere sconfitti, quelle cellule eliminate. Ma Putin non volle. Doveva scatenare la seconda guerra cecena con l’ausilio di bande irregolari e della malavita organizzata, e imporre il suo «impero». Il prodotto è noto, la piaga jihadista cecena. Ma Putin viene presentato come il «pacificatore del Caucaso». A Groznyj il corso centrale si chiama Viale Vladimir Putin.
Il racconto di Alexander Ogorodnikov, il santo ortodosso, sembra fare della tragedia caucasica il racconto della tragedia siriana trasposto in un altro contesto. Chi spinge in questa direzione sembra inconsapevolmente sperare che arrivi quel giorno preconizzato da padre Dall’Oglio, quello in cui per i cristiani orientali dovremo celebrare «un’altra Giornata della Memoria».
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