(di Karim Fahim, per The New York Times. Traduzione dall’inglese di Camilla Pieretti). Al raduno indetto per celebrare la loro vittoria, i miliziani sciiti hanno recitato poesie, cantato e fatto gli spacconi, nel tentativo di addolcire i festeggiamenti per quella che è stata un’orribile battaglia.
Nel corso dei recenti scontri con gli estremisti sunniti dello Stato islamico nelle fattorie e nei villaggi della regione di Diyala, hanno perso la vita oltre un centinaio di guerriglieri della milizia, l’organizzazione Badr. Inoltre, migliaia di abitanti della zona sono stati costretti ad abbandonare le loro case: tra loro anche famiglie sunnite che hanno accusato organizzazioni paramilitari sciite come Badr di evacuazioni forzate ed esecuzioni sommarie.
In una battaglia cruciale, però, le milizie sono riuscite a cacciare lo Stato islamico da alcune zone chiave. Così, lunedì 2 febbraio, i membri di Badr si sono riuniti in una moschea di Campo Ashraf, la loro base nella regione di Diyala, per festeggiare la “liberazione” del governatorato – e per dimostrare di essere la principale forza che combatte lo Stato islamico, noto anche come ISIS o ISIL.
Nel corso del raduno, rivolgendosi a un pubblico composto anche da esaltati guerriglieri poco più che adolescenti, il capo della milizia Badr, Hadi al Ameri, ha orgogliosamente elencato le cittadine liberate dai suoi uomini e dalle milizie alleate, dichiarando: “Si è trattato di grandi operazioni, da cui altri dovrebbero prendere esempio”.
Tuttavia, per quanto Ameri sia alla continua ricerca di un sostegno più ampio e di maggior riconoscimento, il suo gruppo, tra le accuse di atrocità nei confronti dei sunniti e i forti legami con l’Iran, è tra i più controversi in Iraq. Il nuovo governo del Primo ministro Haydar al Abadi, che ha promesso di garantire ampia rappresentatività, è stato sottoposto a forti pressioni perché prendesse le distanze dagli attacchi dei miliziani sciiti e curdi contro i sunniti.
Ciò nondimeno, le vanterie di Ameri hanno un fondo di verità: la sua milizia è una delle forze più efficaci contro lo Stato islamico e ha continuato a guadagnare terreno anche quando l’esercito iracheno è stato sconfitto in più punti, nonostante l’appoggio dei raid aerei e degli istruttori statunitensi.
Ora i leader dell’organizzazione Badr hanno dichiarato che i loro guerriglieri e le milizie alleate, uniti sotto il nome di forze di “mobilitazione popolare”, sono pronti ad avanzare nelle province confinanti e nelle altre città irachene minacciate dallo Stato islamico come una sorta di esercito parallelo a quello ufficiale, forti del proprio successo.
Ai festeggiamenti di lunedì, i leader della milizia si sono dimostrati piuttosto espansivi: hanno chiamato a Campo Ashraf capi tribù provenienti da varie zone del Paese, alcuni dei quali gironzolavano nella piccola mostra fotografica sulle battaglie della regione di Diyala, e giornalisti, invitati ad ascoltare i discorsi e a visitare i villaggi liberati.
Alcuni guerriglieri in tenuta da combattimento si sono seduti in cerchio intonando inni religiosi, per poi separarsi e mescolarsi alla folla che andava formandosi attorno ad Ameri, ospite d’onore.
Con la scritta “Diyala vince, l’Iraq vince” sullo sfondo, Ameri ha rimproverato bonariamente i sostenitori che acclamavano il suo nome, incitandoli piuttosto ad inneggiare all’Iraq. Inoltre, ha mostrato una certa apertura nei confronti dei sunniti, dichiarando che la regione di Diyala è una “zona sicura”, e, pur non ammettendone esplicitamente la veridicità, ha risposto alle accuse di atrocità commesse dai suoi guerriglieri affermando che gli abusi, inclusi uccisioni e rapimenti, verranno puniti.
“Siamo decisi a portare a termine la nostra missione”, ha dichiarato Ameri, elencando i prossimi distretti iracheni da liberare. “Se Dio lo vorrà, sconfiggeremo la Daesh in Iraq”, ha poi aggiunto, utilizzando l’acronimo arabo per lo Stato islamico.
I guerriglieri, dal canto loro, sembravano impazienti di affrontare l’imminente battaglia. Haydar Aidan, 25 anni, ha raccontato delle estenuanti giornate nel villaggio di Mansuriya, trascorse a schivare cecchini e disinnescare ordigni: ben venticinque miliziani di Badr che erano con lui hanno perso la vita laggiù.
Alcune famiglie sono state evacuate, ma Aidan, ripetendo le parole dei suoi superiori, si è detto convinto che presto potranno tornare. Ora che Ameri ha dichiarato il distretto libero dai militanti dello Stato islamico, “andremo a cercare altri luoghi da liberare”.
Anche per Ali Jassim Kadham, un altro guerrigliero, è importante che le famiglie sunnite tornino nelle loro case, ma le sue parole di riconciliazione hanno perso forza non appena ha iniziato a parlare delle tribù sunnite alleate dello Stato islamico.
I collaborazionisti sono peggiori dei terroristi, ha affermato, minacciando: “La punizione in serbo per loro sarà peggiore di quella di Daesh”.
Il timore di possibili rappresaglie da parte delle milizie della regione di Diyala è molto aumentato, dopo che, lo scorso mese, gli abitanti del villaggio di Barwana, a maggioranza sunnita, hanno accusato i miliziani sciiti di aver ucciso 72 persone. Ameri e gli altri ufficiali di Badr hanno negato qualsiasi coinvolgimento da parte dei loro uomini, ma hanno promesso di porre un freno agli abusi.
Un leader di Badr originario della regione di Diyala, Harath al Rubai, ha ammesso che quel giorno si trovava a Barwana per controllare i documenti di alcuni rifugiati di altri villaggi, ma dice di essere venuto a sapere delle esecuzioni soltanto il giorno seguente. “Non so come e quando siano morte quelle persone”. Il governo ha promesso di indagare a fondo sulla vicenda.
Secondo Erin Evers, ricercatrice di Human Rights Watch, il governo corre un grave rischio ad affidare operazioni militari a Badr e alle altre milizie della regione di Diyala, una zona mista abitata da sunniti, sciiti, curdi e turchi.
“È il tipo di posto in cui, ovunque si accenda un fiammifero, scoppia un incendio”. Evers ha dichiarato anche che, secondo i rapporti ricevuti dalla sua organizzazione, almeno nell’ultimo anno e mezzo, le milizie, con la collaborazione di alcune forze di sicurezza irachene, hanno fatto “scomparire” diverse persone in tutta la provincia.
Salah al Jaburi, parlamentare originario della regione di Diyala, ha affermato che alcune “persone cattive” appartenenti alla milizia hanno cercato di alterare l’equilibrio demografico del distretto, impedendo ai sunniti di tornare alle loro case. “Le violazioni commesse contro la società sunnita in Diyala indeboliranno la mobilitazione popolare, rafforzando Daesh”.
Ma lunedì, quando i miliziani di Badr, insieme alle forze di sicurezza irachene, hanno accompagnato i giornalisti a fare un giro della regione a bordo di un convoglio pesantemente armato, i segni di tensione erano ben pochi. Dalle casse di un furgone alla testa del convoglio risuonava, accattivante e insieme minaccioso, un inno della milizia, avvertimento per i nemici di Badr: “Combatteteli!”, cantavano gli uomini, “Uccideteli!”.
I guerriglieri ci hanno mostrato orgogliosamente la diga di Sudur, che era stata conquistata dagli estremisti sunniti, lasciando la regione quasi a secco: ora l’acqua vi scorre di nuovo e il ponte sul canale è stato riparato per consentirne l’attraversamento.
Simboli dell’organizzazione Badr erano stati dipinti di fresco sulle strade del distretto di Muqdadiya, in una chiara dimostrazione di autorità.
Anche in villaggi come al Aqud, dove i combattimenti tra milizie ed estremisti hanno ridotto i negozi in cenere e le case in macerie, sembra che le cose stiano lentamente tornando alla normalità.
Un negoziante, Hafiz Hussein, ci ha detto che alcuni dei residenti, soprattutto sunniti, sono fuggiti per paura delle milizie sciite, ma spera che torneranno.
Per molti di coloro che sono rimasti, invece, l’arrivo delle milizie è stata una vera liberazione: “La Daesh era proprio un inferno”.
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