Dei passaggi informali (e temporanei) di Beirut

Sono legato a Beirut anche per i suoi passaggi informali. Oggi ne ho scoperto uno mirabile, vicino al mio ufficio. Ma non svelerò l’esatta posizione, né come vi si accede, né dove conduce. Sperando che possa rimanere per un po’ la mia capanna nel bosco.

Il bosco è cemento qui e, come mio figlio, mi adatto. E mi rilasso qui a guardare il quadrato di cielo con i piedi in bilico tra mattoni, lamiere e tondini arrugginiti di un palazzo, non vecchio ma nemmeno nuovo, abbattuto da poco.

Questo vuoto apertosi in mezzo a una via secondaria ed elegante di Beirut ha creato il passaggio. Che è anche temporaneo. Perché a breve sarà risucchiato e riempito da un pieno di cemento, quando su questo spiazzo assolato di mattoni e immondizia sorgerà un cantiere per l’ennesima torre beirutina.

Entro senza sapere di entrare. Attratto da mattonelle di un pianerottolo che ricordano quelle di casa. Arrivo a un groviglio di cavi elettrici. C’è un generatore di quartiere alla mia destra. Camicie consunte ma profumate di bucato appese a stampelle che pendono da uno dei cavi elettrici. Poi scorgo la luce.

Uno spiraglio, una feritoia, tra due angoli di cemento. E vedo lo spiazzo (spazio) assolato. Capisco che è un passaggio quando incrocio un signore indaffarato che non mi chiede dove io stia andando. Lui passa. E va. Usa il passaggio come se fosse una via. Ha l’aria di chi passa qui spesso. Forse ha appena parcheggiato… vedo delle auto in sosta dall’altra parte dello spiazzo. E una discesa, con alcune travi per rendere il passo meno insicuro.

Rimango a contemplare. Nessuno mi guarda. Nessuno mi chiede cosa stia facendo lì con una lattina in mano. Proseguo verso il passaggio, ormai eccitato all’idea di trovarmici dentro. Supero le travi, recupero scalini di un tempo, forse parte del pianerottolo dell’ingresso del palazzo abbattuto. E mi ritrovo per pochi metri in una Beirut quotidiana ma nascosta.

Tre camerieri di un ristorante fumano nel retro della cucina. C’è persino un deposito di una casa editrice dal nome pieno di speranza. Poi una casa, altri panni stesi. Una gabbia senza canarini ma solo mangime. Proseguo. Scorgo un campanile. Mi oriento.

Giro l’angolo e mi ritrovo in una Beirut dimenticata, tra due cantieri in costruzione. Altri cavi, altra immondizia, erbacce in mezzo a gradini di altre case abbattute chissà quando. Silenzio.

Alzo lo sguardo e vedo spuntare l’apice del palazzo del mio ufficio. Ho fatto il giro! E’ un passaggio molto interessante, penso. Assomiglia a un altro passaggio, vicino casa, fatto di scalette e vicoli che consentirebbero a un fuggiasco di dileguarsi in un inseguimento.

Beirut offre molti spunti ai noir. Quel passaggio e quella scena da romanzo li ho regalati a un amico, che ci ha costruito attorno alcune pagine del suo romanzo. Ancora rimasto nel cassetto, credo.

Anche il passaggio di oggi potrebbe essere usato in una storia di spie e di passioni segrete… riemergo nel mondo. Beirut, un autolavaggio, un’auto contromano. Torno alle notizie. Più rinfrancato di aver scoperto la mia capanna nel bosco. (Lorenzo Trombetta, Beirut, 1 novembre 2012)