(di Elena Chiti) Non si compra un topolino, ma qualche libro che può rivelarsi interessante. Lo stand si chiama Book Bazar – accessibile dunque anche a chi non legge l’arabo – e vende libri “d’occasione” principalmente in tre lingue: arabo, inglese e francese. Ciò non toglie che, frugando tra i mucchi rovesciati alla rinfusa su un lungo banco e costantemente alimentati attingendo a misteriosi scatoloni, si possa scovare qualche testo in cirillico o in altre lingue che sembrano quanto mai lontane dalla pratica quotidiana in Libano.
I prezzi si aggirano tra le 1.000 e le 10.000 lire libanesi (vale a dire tra i 50 centesimi e i 5 euro) per un singolo volume, ma si può andare fino a 80.000 o 100.000 lire (40 o 50 euro) per le enciclopedie e i trattati in più tomi.
E ce n’è per tutti i gusti: dal Diario di Bridget Jones a T. S. Eliot, da Patrick Modiano e André Gide alle raccolte di ricette, dai rimedi per la bellezza al saggio pubblicato nel 1974 dal grande poeta siriano-libanese Adonis: Al-Thâbit wâ’l-mutahawwil (“Permanenze e variazioni”), una ricerca che prende le mosse dalla sua tesi di dottorato, discussa proprio all’Université Saint Joseph di Beirut e incentrata sulle costanti e i cambiamenti nelle forme letterarie arabe nel corso della storia. E ampiamente contestata per i suoi tratti essenzialisti, che dipingono la cultura araba come un blocco statico, se non addirittura refrattario all’evoluzione, secondo una visione largamente mutuata al pensiero orientalista.
Né potevano mancare le opere di Jurjî Zaydân (1861-1914). Questo grande intellettuale libanese trapiantato in Egitto – giornalista, storico, romanziere, considerato il padre del romanzo storico arabo – è una figura di punta della Nahda, il movimento di rinascita culturale araba dell’Ottocento, che proprio in Libano e in Egitto ebbe i suoi centri maggiori.
Chi frequenta le bancarelle di libri usati nel mondo arabo, sa che Zaydân è un vero e proprio classico del settore. I suoi romanzi storici, nelle numerose riedizioni della casa editrice egiziana Dâr al-Hilâl (che lui stesso ha fondato), hanno accompagnato generazioni di studenti di lettere. Così come il suo trattato Tarâjim mashâhîr al-sharq fî’l-qarn al-tâsi‘ ‘ashara (Biografie di personaggi illustri nell’Oriente del diciannovesimo secolo) continua a essere un must per gli studenti di storia.
Sullo sfondo di una Fiera del Libro in cui l’occupazione principale degli addetti ai lavori è la corsa ad accaparrarsi le ultime uscite, la presenza di Jurjî Zaydân ha un che di rassicurante: si impone come un long-seller tra i tanti best-seller, o presunti tali, di un mercato editoriale arabo in piena ebollizione, che mastica e sputa novità a un ritmo non certo minore di quello europeo.
Forse, con buona pace di Adonis, sono queste le permanenze: non i presunti tratti immutabili di una data cultura, ma certi libri e certi autori che, secondo la definizione di Italo Calvino, “rimangono” perché non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire.
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