Libano, Omaggio ai 17.000 desaparecidos della guerra civile

(di Alberto Zanconato, per Ansa). Oltre centomila morti e almeno 17.000 scomparsi: in parte dispersi nei combattimenti, altri vittime di rapimenti e arresti arbitrari, di cui non si è più saputo nulla. E’ questo il bilancio dei 15 anni di guerra civile libanese, scoppiata il 13 aprile del 1975.

E mentre il conflitto in Siria riaccende le tensioni nel Paese dei Cedri, gli oppositori del regime di Damasco, che dal 1976 al 2005 lo ha occupato militarmente, affermano che molti dei ‘desaparecidos’ sono stati rinchiusi proprio nelle carceri siriane. Il Comitato dei parenti delle persone rapite e scomparse ha ricordato il 38/o anniversario dell’inizio delle ostilità con la proiezione oggi a Beirut di un documentario di Eliane Raheb.

‘Notti insonni’ – questo il nome della pellicola – racconta la storia di una madre sciita, Mariam, alla disperata ricerca di notizie sulla sorte, o almeno sul luogo della sepoltura, di suo figlio Maher, scomparso nel 1982 durante l’invasione israeliana mentre combatteva come miliziano del Partito comunista contro le forze occupanti e quelle cristiane della Forze Libanesi.

Ma nessuno sembra potere o volere aiutarla: nemmeno quello che al tempo era un alto dirigente dello stesso Pc libanese, Elias Atallah.”Non so niente, non ricordo”, è la sua unica risposta.

E piena di lacune è anche la ricostruzione degli eventi dell’altro protagonista della pellicola, Assaad Shaftari, all’epoca dirigente dell’Intelligence delle Forze Libanesi che nel 2000 fece una pubblica confessione sui crimini commessi durante il conflitto. “Una volta – racconta – uccisi un prigioniero con le mie mani, a coltellate, per far vedere ai miei uomini che anch’io, come loro, mi sporcavo le mani di sangue. Ma non ricordo che faccia avesse, come la cosa avvenne, in quale parte del corpo lo colpii”.

Una sorta di amnesia collettiva, sancita dalla legge di amnistia per tutti i protagonisti della guerra civile, con molti di loro diventati ora rispettabili uomini politici”.

Questo Paese è una menzogna, la nostra vita è una menzogna”, grida disperata Mariam nel film. “In Libano non c’è stata una riconciliazione”, dice all’Ansa Eliane Raheb, il cui documentario è stato presentato ai festival di San Sebastian e Dubai oltre che negli Usa e a Londra. “La gente vede i politici che si stringono la mano e pensa che tutto sia risolto, ma non è così”.

Quasi a conferma delle sue parole, fuori dalla sala la regista viene duramente criticata da Maroun Maroun, dell’ufficio stampa delle Forze Libanesi. “Quella che la Raheb presenta – afferma il dirigente cristiano – è un un aspetto molto limitato e parziale della realtà. E non dimentichiamo che 1.300 degli scomparsi sono stati portati in Siria dove sono stati imprigionati, alcuni anche dopo la fine della guerra civile. Di loro non sappiamo nulla. Ogni tanto qualche nostro ministro chiede informazioni a Damasco, ma notizie non ne arrivano”.

“Questa è la storia che avevo – risponde la regista – e su questa ho fatto il documentario. Se Maroun ne ha un’altra, faccia un suo film. Quello che volevo era dare voce a persone che sono lasciate sole ma hanno deciso di parlare. Devono essere prese come esempio per fare luce su quello che è successo. Il nostro popolo deve essere aiutato politicamente, sociologicamente e psicologicamente a fare i conti con il passato. Solo così i libanesi possono diventare cittadini di uno Stato, e non chiudersi nelle proprie identità confessionali come delle tribù”. (ANSA, 12 aprile 2013).