Dissidenti politici arabi e stranieri, bancarottieri, leader guerriglieri e spie doppiogiochiste sono tutti prima o poi passati e, in alcuni casi anche rimasti, a Beirut: crocevia del Medio Oriente e oasi dove trovare protezione da persecuzioni e mandati di arresto o dove godersi una pensione dorata lontano da sguardi indiscreti.
Tra gli italiani, il nome più noto è Felice Riva, l’industriale lombardo che nel 1969 fuggì proprio a Beirut per sfuggire alla giustizia italiana. Come Dell’Utri, ‘Felicino’, ex presidente del Milan e protagonista di uno dei primi scandali finanziari che negli anni Sessanta misero a soqquadro Milano, arrivò in quella che ancora poteva esser definita ‘la Parigi del Medio Oriente’ attraverso un itinerario non lineare: Nizza, Parigi, Atene e infine Beirut. Rino Gaetano, nel 1975, gli dedicò addirittura un verso (“… c’è chi scappa per Beirut e ha in tasca un miliardo…”) nella sua celebre ‘Il Cielo è sempre più blu’.
Ambienti della magistratura libanese affermano che l’accordo sull’estradizione tra l’Italia e il Paese dei Cedri fu siglato nel 1970 proprio in seguito al caso di Riva. Che rimase però a lungo in Libano, tanto da acquisire la cittadinanza, prima di fuggire di nuovo a causa della sanguinosa guerra civile (1975-90).
Proprio all’ombra del conflitto intestino libanese trovò rifugio e persino un lavoro Ilich Ramiréz Sanchez, meglio noto come Carlos, mercenario marxista-leninista che ha firmato numerose operazioni terroristiche e omicidi mirati in giro per il mondo. A metà degli anni ’70 collabora assiduamente con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e fa di Beirut una delle sue basi operative.
A Beirut giunse ai primi anni ’70 Kozo Okamoto, membro dell’ Armata rossa giapponese e seguace dei movimenti di resistenza palestinese. Okamoto figura tra gli attentatori dell’attacco all’aeroporto israeliano di Lod nel 1972 organizzato sempre dal Fplp. Dopo aver scontato 13 anni nelle carceri israeliane fu liberato in uno scambio di prigionieri e, dopo varie peripezie, dal 1997 è tornato in Libano per sfuggire alla giustizia giapponese.
Assai più nota è la fuga a Beirut di Yasser Arafat e dei vertici dell’Olp tra il 1969 e il 1970, in corrispondenza con l’offensiva giordana contro le milizie palestinesi asserragliate nel nord del regno hascemita. Arafat e i suoi lasceranno Beirut Ovest sotto i pesanti bombardamenti israeliani nel 1982, prima verso Tripoli, nel nord del Libano, e quindi verso Tunisi.
Prima della guerra civile libanese, la spia britannica Kim Philby operava a Beirut con la copertura di giornalista ma fu in seguito assoldato dal Kgb russo e per anni vestì il doppio abito della spia ai tempi della guerra fredda muovendosi abilmente tra le montagne e le spiagge di un Libano che a quell’epoca era descritto come ‘la Svizzera del Medio Oriente’.
Meno noti in Occidente ma molto famosi nel mondo arabo figurano decine di dissidenti politici siriani, iracheni, yemeniti, libici, algerini, che sono passati e rimasti al sicuro a Beirut in fuga dalle varie dittature che dagli anni ’50 fino a oggi hanno dominato le società arabe dall’Atlantico al Golfo. (Ansa, 12 aprile 2014)
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