(di Jessica Chillemi per SiriaLibano). Per molti occhi siriani il Libano nel corso dell’ultimo anno ha assunto i tratti di un Paese dal doppio volto: da un lato garante della tanto agognata salvezza dal confinante Paese in guerra, dall’altro custode di giornaliere difficoltà all’apparenza insormontabili in una disperata lotta per la sopravvivenza.
Sentimenti contrastanti percorrono gli animi dei numerosi rifugiati siriani da poco stabilitisi in terra Libanese, molti dei quali hanno cercato rifugio all’interno di alcuni dei campi palestinesi del Paese.
Hula è una donna siro-palestinese di 27 anni. Ha lasciato la Siria e il suo campo palestinese d’origine, Yarmuk, il 31 Dicembre 2012. Dopo un viaggio in van di 12 ore, rallentato dai numerosi posti di blocco e controlli al confine, è infine approdata in terra libanese in compagnia della sua famiglia e i suoi fratelli. Da allora, vive con il marito e i figli in una costruzione grezza di pietra e cemento del campo Palestinese “Ain al Helwe” di Saida, a circa 40 km a sud di Beirut.
La sua sistemazione, termine decisamente più appropriato di “casa”, sorge in un’area del campo controllata dal partito palestinese Fath, zona in cui sono accampati in condizioni di estrema povertà numerose altre famiglie siro-palestinesi fuggite dal vicino Paese in guerra. La condizione di vita di Hula e della sua famiglia costituisce probabilmente uno tra i più gravi e degradanti casi registrati negli ultimi mesi tra le migliaia di famiglie rifugiatesi ad Ain al Helwe.
Dopo il loro arrivo, le forze politiche armate dell’area hanno assegnato loro una piccola stanza in muratura per la quale pagano dai 100 ai 200 dollari al mese, soldi che racimolano a stento e con sforzo ogni mese, essendo totalmente privi di fonti di guadagno. L’abitazione è completamente spoglia, contiene solo un letto e due materassi per dormire, mentre su una delle 4 pareti c’è un rubinetto utilizzato sia per lavare alimenti che per la pulizia quotidiana. Le porte e i vetri delle finestre sono sostituite da coperte e pezzi di stoffa.
Oltre alle pessime condizioni d’igiene dell’abitazione, anche la famiglia soffre di cattive condizioni di salute, aggravatesi per la totale mancanza di cure mediche e servizi sanitari di prima necessità. Hula ha tre figli di 7 mesi, 2 e 4 anni. La bambina di 2 anni soffre di una grave cardiopatia, ha difficoltà a respirare e necessita di una bombola d’ossigeno in supporto. Le sue condizioni di salute sono pesantemente aggravate dalle pessime condizioni igieniche dell’abitazione e del livello di sporcizia in cui vivono.
Il figlio più piccolo mostra diverse ferite sul volto e necessiterebbe di cure e controlli medici. Anche il marito di Hula vive pessime condizione di salute, soffre di problemi al sistema nervoso e di attacchi d’isteria violenti da circa cinque anni e trascorre la maggior parte delle sue giornate a letto. Hula è l’unica responsabile della famiglia e il suo sguardo, seppur alto e orgoglioso, trasmette la profonda sofferenza che la accompagna giornalmente nel tentativo di affrontare e superare le numerose difficoltà che le si pongono dinnanzi per il mantenimento della famiglia.
La famiglia di Hula, come molte altre famiglie rifugiate nel campo, vive di stenti e nella speranza di ricevere qualche supporto umanitario dalle Associazioni locali e dagli enti internazionali responsabili dell’assistenza di rifugiati siro-palestinesi, unico supporto sul quale possono contare per una temporanea sopravvivenza.
Negli ultimi mesi, tuttavia, a causa dell’aggravarsi delle condizioni di sicurezza in Siria e dei continui attacchi armati e bombardamenti, il numero di siriani rifugiati nel campo alla ricerca di asilo è notevolmente aumentato. Centinaia di nuove famiglie, molte delle quali provenienti dai campi palestinesi Yarmuk e Sbayna della Siria e arrivati con poco più di una busta a testa con solo qualche vestito e ricambio intimo, vivono di stenti e in condizioni di estrema povertà. Le nuove famiglie si aggiungono alle tante altre già registrate presso le varie associazioni locali palestinesi (vedi Nabaa) per ricevere assistenza e aiuti umanitari. Ciò determina una situazione di forte emergenza, che le poche organizzazioni non governative (Ong) attive nel campo hanno difficoltà a sostenere.
In occasione del 65° anniversario della Nakba (النكبة) , termine che rievoca il tragico inizio dell’esodo palestinese avvenuto il 15 maggio 1948, nel campo di Ain al Helwe, presso gli uffici dell’Associazione no-profit palestinese Nabaa supportata dall’Ong Johanniter, l’interna giornata è stata dedicata alla distribuzione di pacchi di vestiti e beni di primaria necessità a centinaia di famiglie siro-palestinesi con casi di particolare emergenza.
Considerata la grave situazione d’emergenza che sta vivendo il campo, non sorprende che il numero di persone giunte presso gli uffici Nabaa nella disperata speranza di ricevere un pacco di vestiario per la propria famiglia sia stato quasi il doppio di quello previsto.
A causa del limitato numero di risorse disponibili o dell’eccessivo numero di persone in cerca di aiuto, più di cento famiglie, compresa quella di Hula, sono state costrette a far ritorno alle proprie stanze in pietra, prive di porte e finestre, a mani vuote, nell’effimera ma obbligatoria speranza di ricevere al più presto una chiamata per l’arrivo di nuovi pacchi di vestiario o risorse primarie con le quali continuare a sopravvivere, in attesa che un giorno qualcosa cambierà. (20 maggio 2013).
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