Fiera Beirut, libri per bambini e messaggi fuorvianti

(di Elena Chiti) Alla Fiera del Libro di Beirut ci sono stand più colorati degli altri, in cui cappelli di maghi e carote di conigli fanno capolino tra le pagine. Sono gli stand degli editori per bambini, come il libanese Yuki Press, che presenta i testi pubblicati in sette anni di vita, dal 2004 a oggi.

Una trentina di album dalla veste grafica accattivante, in cui bambini dalle facce rotonde sorridono dalle copertine. Anche quando si parla di cancro. ‘Indamâ maridat sadîqatî (“Quando si è ammalata la mia amica”) – appena pubblicato e già premiato dalla Fiera di Beirut – non fa mancare il sorriso di rito. Non in segno di spensieratezza, stavolta, ma come gesto del guerriero dopo la vittoria.

In questo caso, però, il guerriero è una bambina che sconfigge il cancro: piccola Wonder Woman con tanto di mantello e di bandana che le copre la testa, a indicare la caduta dei capelli. Perché l’illustratore, Sinan Hallak, e l’autrice, Samar Mahfouz Barraj, hanno il merito di non svicolare dall’argomento, di non nascondersi dietro falsi pudori, invocando magari la giovane età del loro pubblico.

Eppure, la lettura del libro lascia con un senso di disagio. Il falso pudore è a monte: nella volontà di eroicizzare la protagonista, di farne un essere superiore alla malattia, una paladina senza macchia e senza paura, tutta forza senza fragilità, in una sorta di lieto fine annunciato. Con il rischio di trasmettere un messaggio che non è di speranza ma di soverchiante, disumana responsabilità: se lotti, ce la fai; se non sconfiggi la malattia, vuol dire che non sei forte.

Mi chiedo allora se il libro sia dedicato ai bambini malati di cancro o piuttosto ai bambini sani, che possono leggerlo pensando che, in fondo, ad ammalarsi è sempre “la mia amica” e, in fondo, se è forte ce la fa.