(di Elena Chiti) «L’intenzione di raccontare i boschi del mio paese incendiati da quindici anni di guerra non ha portato a niente. Scrivendo sono sorti personaggi che hanno dato l’assalto alle poesie. Bambini vestiti di corteccia. Madri fatte dello stesso legno di un tavolo. Hanno sfondato i muri, sfasciato le case, fraternizzato con gli alberi, condiviso le loro paure e i loro giochi».
Con queste parole l’autrice – grande poetessa e romanziera franco-libanese, nata a Bsharri nel 1937 e da decenni residente a Parigi – racconta la genesi del suo ultimo libro (Où vont les arbres?, “Dove vanno gli alberi?”, pubblicato a fine 2011 da Mercure de France). Una raccolta strana, in cui l’assurdo è raccontato con i toni del quotidiano e il lettore si abitua alla sfilata sconfortante di guerre e armistizi come ai ruoli inconsueti prestati a chi li vive.
Où vont les arbres? è un continuo rovesciamento di ruoli, o meglio, una serie di invasioni di regno: da quello minerale a quello vegetale, da quello animale a quello umano. Ricorda un famoso racconto di Gianni Rodari, Il gioco dei quattro cantoni, in cui per un’oscura ragione gli abitanti del pianeta si scambiano le caratteristiche basilari: gli esseri umani si mineralizzano, le piante iniziano a muoversi, gli animali acquistano il dono della parola e via dicendo.
La ragione ignota di queste invasioni di regno, in Khoury-Ghata, è la guerra. Non perché scardini una presunta gerarchia nell’ordine naturale delle cose, ma perché rivela un’assenza di gerarchia. Con un cipresso che diventa matita, una nuvola-cucciolo che ha voglia di giocare, una madre che sembra farsi di pietra e i libri che muoiono, Vénus Khoury-Ghata ci dice che la frontiera tra esseri animati e inanimati non è poi così netta e invalicabile, se basta una guerra a imbrogliare i piani.
Traduco di seguito due poesie tratte dalla raccolta.
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Leggere è uno spreco di parole che fa traboccare l’attenzione come schiuma di latte
bollita
Ripeteva la madre
E faceva al cipresso una punta di matita
A corto di libri leggevamo i suoi pensieri
sicuri che ci lascerà sull’orlo del sonno appena le
spunteranno figli nati da lei sola
ci lascerà
spazzate sotto il tavolo le nostre paure
raccolte le briciole della sua grande stanchezza
messe in ordine di grandezza le nostre scarpe come bravi scolari
ci lascerà senza allontanarsi
Cucita nel suo lenzuolo
i figli nel suo ventre fatti sassi
***
Affrettandoci a rientrare prima dell’acquazzone
una nuvola ci infastidiva
ci sfilava la strada da sotto i piedi
ci gettava lo zaino nel fosso
la nostra presenza a scuola era pura superstizione
il paese esisteva solo sulla carta
gli scarti del sentiero impedivano ogni addizione
Tutti i libri sono morti in guerra dichiarava la madre e
nessuno la smentiva
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