Beirut Madinati, la nuova lista civica dal basso

index

(di Sara Manisera, per SiriaLibano). Nonostante il tanfo ributtante che aleggia nell’aria, a Beirut si respira primavera. Non capita spesso di vedere persone occupare degli spazi pubblici. Sono pochi e malagevoli e alcuni sono chiusi al pubblico, come Horsh Beirut, un grande parco non lontano dal centro cittadino. Nelle ultime settimane, invece, molte persone si sono date appuntamento nei luoghi più impervi e nascosti, sulle scale che sormontano la città, in piccoli giardini, nei quartieri più dimenticati e in appartamenti. Letteralmente case aperte. Ogni lunedì, a Badaro, quartiere di bar e ristoranti, tutti potevano entrare, partecipare, fare domande ai volontari e ai partecipanti di questo nuovo movimento dal basso: Beirut Madinati.

Beirut Madinati – Beirut la mia città – è prima di tutto un’idea di cambiamento”, racconta Ramzi Husseini, uno dei duemila volontari che animano il movimento. “Siamo tutte persone che vogliono un cambio e che credono in esso”. L’iniziativa nata a dicembre da un gruppo di esperti e professori dell’Università americana di Beirut (AUB), è cresciuta, si è ingrandita e strutturata.

“Alla prima grande assemblea organizzata a gennaio a Sin el Fil, c’erano più di seicento persone”, racconta il giovane volontario. In concomitanza è stata stabilita una strategia – coinvolgere il più ampio numero di persone – e fissato un obiettivo, le elezioni municipali.

In questi mesi più di duemila volontari si sono coordinati dal basso in comitati, distribuendo volantini, organizzando dibattiti e parlando con le persone nei differenti quartieri. “Abbiamo ascoltato e parlato con altri cittadini, frustrati come noi di questa paralisi”, racconta una studentessa universitaria. Dopo aver raccolto le voci stanche e disilluse dei cittadini, è stato scritto il programma; sessantacinque pagine, obiettivi di corto, medio e lungo periodo, in cui si parla di accessibilità alla casa, di ambiente e riduzione dello smog, di mobilità e infrastrutture, di protezione del patrimonio culturale e artistico, di gestione dei rifiuti.

Già di per sé una vera rivoluzione, se si considera che nessuno degli altri partiti politici ha presentato un programma elettorale per le elezioni che si terranno il prossimo 8 maggio.

Ma l’altra vera rivoluzione è la lista dei candidati: dodici donne e dodici uomini. Tra di loro esponenti della società civile e del terzo settore, un cardiologo, un pescatore, una studentessa universitaria dei movimenti operai, una regista cinematografica, un cantante popolare e un architetto. Persone scelte in base alle competenze e alla loro appartenenza territoriale, per rispettare i fragili equilibri confessionali del paese levantino. “Ci siamo uniti per un progetto comune per la nostra città”, spiega Ibrahim Mneimneh, candidato sindaco della lista. L’architetto, di religione sunnita, lo ribadisce: “Utilizziamo un linguaggio che rompe tutte le barriere identitarie e confessionali. Parliamo da cittadini a cittadini”. Beirut Madinati si finanzia attraverso donazioni private soggette a delle limitazioni e con il crowd-funding.

Il nuovo soggetto politico che ricorda gli albori del partito politico spagnolo Podemos deve affrontare però, un’insidiosa difficoltà, l’astensionismo. Nelle ultime elezioni municipali solo il venti per cento dei cittadini è andato a votare. “I libanesi non partecipano perché non hanno un’alternativa a questo sistema marcio”, dichiara Yorgui Teyrouz, uno degli altri candidati poco più che trentenne. Sarà l’entusiasmo che si percepisce negli sguardi e nei sorrisi di chi prende il microfono in mano nei dibattiti o forse sarà l’energia dei candidati ma qualcosa nelle ultime elezioni cambierà. O almeno sarà un inizio.