Siria, tornare a scuola è sempre duro…

Torture in una scuola sirianaI banchi di scuola sono quelli di una volta. Stretti, di legno, duri. Sono in primo piano nel breve video amatoriale proveniente da Latakia, porto nord-occidentale della Siria. Il filmato, che mostra alcuni civili siriani rinchiusi in un aula, malmenati e insultati da miliziani fedeli al presidente Bashar al-Assad, era stato diffuso all’inizio di settembre, negli stessi giorni in cui il ministero della pubblica istruzione siriano aveva confermato domenica 18 settembre, come primo giorno di lezione in tutte le quattordici regioni del paese.

Così è stato, almeno secondo il racconto ufficiale: «Circa cinque milioni e mezzo di studenti sono tornati sui banchi», ha detto soddisfatto il ministro Saleh Rashid, intervistato domenica dalla tv di stato. «Tutte le scuole sono pronte», aveva assicurato sabato.

L’inusuale apparizione del ministro sugli schermi nazionali, pronto a rassicurare la popolazione che gli edifici scolastici sono agibili, è di per sé rivelatrice dell’anomalia: scuole usate come carceri, aule trasformate in stanze per interrogatori, palestre adibite a sale di tortura. In un video amatoriale proveniente dalla regione meridionale di Daraa, una decina di uomini in divisa picchiano selvaggiamente un individuo raggomitalato su se stesso a terra.

Le urla di chi subisce i colpi e le imprecazioni di chi lo scalcia e lo colpisce con bastoni forse non si erano mai udite in quella sala attrezzata con spalliere di legno e materassini per l’educazione fisica. In un altro filmato un giovane è a terra, con le mani e le caviglie legate, le gambe tenute in alto in modo che le palme dei piedi possano esser sferzate con maggior efficacia da una frusta impugnata da un giovane in divisa, mentre altri tengono fermo il prigioniero e lo insultano.

Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) dall’inizio delle proteste anti-regime e della conseguente repressione nel marzo scorso, sono circa 70.000 i civili scomparsi nelle segrete dei servizi di controllo siriani. Una cifra basata sulle testimonianze di familiari e amici di attivisti, manifestanti o di numerosi altri semplici cittadini che sono spariti in questi primi sei mesi di rivolta.

Se la cifra dell’Osservatorio dovesse rivelarsi esatta, è come se l’intero Stadio Olimpico di Roma, affollato di persone e al massimo della sua capienza, dovesse essere inghiottito sottoterra. Le autorità siriane hanno tentato di sedare le proteste non solo sparando contro la popolazione ma anche svuotando i centri abitati più irrequieti tramite arresti di massa.

Una massa di persone prima trasferita nelle prigioni locali e dei servizi di sicurezza, quindi negli stadi, nei magazzini commerciali vuoti, nelle scuole. Non a caso, a maggio scorso il campionato di calcio era stato sospeso per “ragioni di sicurezza”, mentre l’inizio dell’estate e la fine delle lezioni aveva assicurato al regime tre mesi di piena libertà di movimento in tutti gli edifici scolastici.

«È tutto pronto per l’inizio delle lezioni, fuori e dentro gli edifici, dai libri alla pulizia», aveva assicurato il direttore dell’ufficio scolastico di Homs, Suhayl Mahmud, citato sabato scorso dal quotidiano governativo al-Thawra.

Proprio a Homs, uno dei teatri più scossi dalla rivolta, i servizi di sicurezza locali hanno svuotato le aule e trasferito prigionieri e miliziani lealisti addetti alle torture in abitazioni private affittate – secondo il giornale panarabo saudita ash-Sharq al- Awsat – in quartieri “sicuri” della città.

Il Comitato di coordinamento dei rioni di Homs, la principale piattaforma di attivisti anti-regime della terza città siriana, ha ieri affermato che la metà degli studenti non si è recato a scuola domenica e che le assenze più numerose si sono verificate nell’indomito quartiere di Bab Sbaa e nella vicina Hula, dove sempre ieri sono stati uccisi altri cinque civili dalle forze lealiste.

Assenti per protesta ma anche per paura di esser segnalati e quindi sparire.

Come era successo nel febbraio scorso a quei dieci ragazzini di Daraa, colpevoli secondo il regime di aver osato incidere sui muri scolastici slogan di protesta ispirati alle rivolte tunisina ed egiziana.

Nelle scuole del Baath, la campanella suona e si intona l’inno del partito al potere in Siria da quasi mezzo secolo. Una delle materie impartite non si chiama “educazione civica” ma “educazione nazionale e socialista” (tarbiya qawmiyya ishtirakiyya). E chi la insegna è chiamato da domenica a controllare, assieme al preside e al docente di educazione fisica membri di una “commissione di sicurezza”, il comportamento di ogni singolo allievo (Scritto per Europa Quotidiano del 20 settembre 2011)