Campi profughi per i siriani in Libano? No grazie. Questa è la risposta bipartisan che senti pronunciare da tutti i ministri del governo di Beirut.
Se è vero che l’esecutivo è dominato dalla coalizione pro-regime di Damasco guidata dal movimento sciita Hezbollah, al suo interno vi sono comunque alcuni uomini in quota al leader druso Walid Jumblat, da mesi spostatosi su posizioni esplicitamente a favore dei rivoluzionari siriani e contrario alla repressione in corso.
Esemplare a tal proposito è la posizione espressa dal ministro degli affari sociali, Wael Bou Faour, da anni considerato il delfino di Jumblat.
All’indomani della riunione del consiglio dei ministri il 3 aprile 2012, Bou Faour ha criticato i suoi colleghi per aver di fatto impedito il finanziamento governativo, tramite il suo dicastero, dell’Ente nazionale per il soccorso, che nel nord del Libano è responsabile di fatto di soccorrere i profughi siriani giunti dalla regione di Homs.
Il finanziamento richiesto da Bou Faour si aggira attorno ai 67 mila dollari, ma nella riunione del governo non si è potuto discutere del merito della questione, perché, come ha detto lo stesso ministro, “la discussione si è subito trasformata in una questione politica”.
Abou Faour ha ricordato che “si tratta prima di tutto di una questione umanitaria e lo Stato libanese ha la responsabilità di fornire un aiuto ai profughi (siriani) visto che essi si trovano sul suo territorio”. Ma ha poi aggiunto: “Comunque, non vediamo per il momento alcun interesse nell’allestire dei campi profughi”.
Insomma da una parte, il ministro vicino a Jumblat afferma che la presenza di profughi siriani in Libano non è solo una questione politica, ma è prima di tutto umanitaria. Poi però ribadisce, usando il metro della politica, che altri campi profughi in Libano – oltre quelli dei palestinesi – non è certo il caso di costruirli.
Finché gran parte delle forze politiche del governo libanese sosterranno la retorica di Damasco, secondo cui le forze rivoluzionarie in Siria sono agenti del complotto e terroristi, non ci si può attendere che lo stesso esecutivo aiuti direttamente questi “terroristi”.
Indirettamente sappiamo invece come le realtà locali – compresa la Beqaa roccaforte di Hezbollah – chiudano un occhio alla politica e si siano organizzate per evitare che la tensione sociale e confessionale possa degenerare. Un atteggiamento che sul piano pratico ha finora dato i suoi frutti, considerato il delicato contesto libanese.
Interessante rimane comunque il fatto che la parola “campo” (mukhayyam), accostata all’idea di allestire un rifugio per i profughi siriani che fuggono dalla repressione, sia considerata un tabù dai politici libanesi.
E’ un po’ come criticare il sionismo in Italia: tutti devono prendere le distanze da simili oscenità. Tutti devono recitare la formula di estraneità prima di affrontare il tema. Tutti devono affrettarsi a dire che non intendono proporre l’allestimento di un campo profughi. Vade retro Satana!
Intanto, dall’altro capo del Medio Oriente, in Iraq, le autorità locali in cooperazione con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr, Acnur), hanno annunciato, sempre il 3 aprile 2012, di aver allestito a Dohuk, nella regione autonoma a maggioranza curda, il primo campo per i profughi siriani. Questi in tutto l’Iraq sono per ora 2.125, secondo l’ufficio per l’immigrazione e i profughi della regione curda irachena.
Lascia una risposta