(di Lorenzo Trombetta, Europa). «È difficile convincere a restare i cristiani che vogliono lasciare il Paese. Troppe sono le minacce a cui sono sottoposti e le condizioni difficilissime in cui devono vivere». Nemmeno due settimane fa così parlava alla Bbc in arabo il vescovo siriaco-ortodosso di Aleppo Hanna Ibrahim, secondo alcune fonti rilasciato 24 ore dopo esser stato rapito lunedì 22 aprile da non meglio precisati uomini armati assieme Bulos Yazigi, vescovo greco-ortodosso della stessa metropoli siriana del nord. Il 24 aprile però la diocesci greco-ortodossa di Aleppo e il ministero degli esteri greco – coinvolto nella mediazion per la liberazione – smentiscono la notizia del rilascio dei due prelati.
I media ufficiali siriani avevano dato ampio risalto alla notizia, accusando immediatamente «gruppi di terroristi armati». Dal canto suo, l’Esercito libero siriano – sigla che si dice rappresentativa delle diverse anime dell’insurrezione armata contro il presidente Bashar al Assad – aveva emesso un comunicato in cui smentiva di esser coinvolto nel sequestro dei due alti prelati. Più tardi, sempre tramite i media di regime, le autorità ecclesiastiche ortodosse siriane e il governo di Damasco annunciavano: «Sono stati miliziani della Jabhat an Nusra, sono ceceni». Che dall’attentato di Boston non sono più solo i nemici giurati di Mosca, principale alleato di al Assad, ma anche di Washington.
Gli Stati Uniti sono tra quei paesi occidentali che si dicono restii, almeno ufficialmente, a fornire armi ai ribelli, temendo che queste cadano “in mani sbagliate”. E se in Siria i “ceceni” rapiscono i vescovi cristiani (percepiti come “gli occidentali da salvare” in un mare di musulmani da lasciar morire nell’indifferenza generale), gli americani si possono ora convincere davvero di quel che al Assad e i suoi alleati iraniano e russo vanno dicendo da tempo: «Siamo vittime del terrorismo. Che oggi colpisce noi e presto colpirà anche voi». Non a caso il raìs siriano è di recente tornato a invocare l’Iraq e l’Afghanistan, due dei peggiori incubi degli Stati Uniti.
«I cristiani in quanto tali non sono obiettivi e così anche le chiese», aveva però detto il 13 aprile scorso il vescovo Ibrahim. «Ma quel che accade è i cristiani sono esposti ad attacchi indiscriminati». Il vescovo di Aleppo aveva cercato in modo esplicito di allentare l’abbraccio mortale tra il regime degli Assad e la comunità cristiana, di cui gli ortodossi sono la maggioranza (circa un milione su un totale di oltre un milione e mezzo di persone). «In Siria la situazione è diversa da quella dell’Iraq. La permanenza dei cristiani in Siria non è legata alla permanenza del regime del presidente al Assad».
E ancora, a suo modo si era persino unito, almeno in parte, all’appello lanciato quasi un anno fa dal gesuita italiano padre Paolo Dall’Oglio circa la necessità consentire l’ingresso nella Siria in guerra ai media professionisti: «Bisogna spalancare le porte ai mezzi di stampa perché venga riportata l’immagine reale della sofferenza patita dai siriani».
Padre Paolo, che non aveva fatto altro che chiedere il rispetto del piano elaborato dall’allora inviato speciale Onu Kofi Annan, era stato di fatto espulso poco dopo le sue dichiarazioni. Il vescovo Ibrahim e il suo collega Bulos Yazigi sono stati tenuti per meno di 24 ore in un luogo ignoto tra Aleppo e il confine con la Turchia. «Stavano svolgendo un’attività umanitaria a Kafr Da‘il», scriveva lunedì sera l’agenzia ufficiale Sana. Il diacono di Yazigi, padre Bassil Mahfud, era stato ucciso sul posto dai sequestratori.
La tempistica e le circostanze dell’azione non forniscono certezze ma sollevano domande. Anche alla luce di quanto raccontato da Amedeo Ricucci, giornalista Rai di recente tornato in Italia dopo esser stato a lungo fermato da miliziani della Jabhat an Nusra, il gruppo forse militarmente più preparato per lottare contro le forze di al Assad e che di recente ha affermato di far parte del marchio di al Qaida. «La mia impressione è che la situazione in Siria, nelle zone sotto il controllo dei “ribelli”, sia ormai pericolosamente fuori controllo», scriveva proprio ieri Ricucci sul suo blog.
«Tra i gruppi armati jihadisti e le brigate dell’Esercito libero è in atto infatti una guerra esplicita per il controllo del territorio, condotta con brutalità e senza rispetto per nessuno, tanto meno per i giornalisti. Il nostro sequestro temo si inserisca in questa battaglia senza esclusione di colpi, villaggio per villaggio, che non risparmia nemmeno la popolazione civile».
Alle parole dell’inviato Rai va aggiunta la considerazione che la periferia orientale di Aleppo, proprio quella in cui sono stati rapiti i due vescovi, non è affatto controllata in modo omogeneo dal variegato fronte degli insorti. Ma è in parte ancora in mano alle forze lealiste. Per esempio, in rete non esiste un comitato di coordinamento degli attivisti anti-regime di Kafr Da‘il, un’indicazione non secondaria e che fino a oggi ha sempre aiutato l’osservatore a capire se quell’area è schierata con quel fronte o con quello rivale. Se i due vescovi si trovavano in quella località a svolgere lavoro «umanitario», è assai improbabile – in base alle dinamiche ben note ai siriani e a chi si occupa di Siria – che lo stessero facendo in una zona controllata dai ribelli, dai qaedisti o, addirittura, dai “ceceni”. E se Kafr Da‘il non è in mano agli insorti o ostaggio di criminali comuni, perché le forze del regime non hanno protetto i due prelati ortodossi dai “ceceni”? E ancora: chi può avere interesse a rapire (e forse a uccidere) alti rappresentanti della più folta comunità cristiana siriana a pochi giorni dalla domenica delle Palme ortodossa?
Poco prima di venire “fermati”, Ricucci e gli altri tre colleghi avevano incontrato nella regione di Idlib, confinante con quella di Aleppo, un prete rimasto a custodire da solo quel che resta di una chiesa. Ancora oggi è l’unico cristiano di quel villaggio svuotatosi dei suoi abitanti e occupato di fatto da miliziani della Jabha. Che oltre a non avere bisogno di soldi derivanti dai riscatti dei rapimenti, non sembrano nemmeno interessati a tagliare la gola a preti e vescovi. «Quelli della Jabha ci hanno mostrato sempre un profondo rispetto per i cristiani e ci hanno più volte detto che non hanno intenzione alcuna di colpire la comunità cristiana siriana», ha affermato Ricucci, raggiunto telefonicamente da Europa. «Bisogna anche dire – ha concluso – che quel prete del villaggio di Idlib aveva buoni rapporti con la Nusra. È lui che ci ha portato da loro». (Europa Quotidiano, 23 aprile 2013).
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