Anche gli americani colpiscono un sito archeologico

1414080828665_wps_3_Militants_of_Islamic_Stat(di Alberto Savioli). Anche la Coalizione guidata dagli Stati Uniti partecipa alla distruzione del patrimonio archeologico siriano. E’ quanto emerso dalle immagini dei bombardamenti su Tell Sheir, vicino Kobane. 

Il patrimonio storico artistico e archeologico siriano sta subendo ingenti danni da quattro anni. I recenti bombardamenti americani a Kobane contro i miliziani dello Stato Islamico hanno colpito il sito archeologico di Tell Sheir. Alle distruzioni compiute dall’aviazione siriana e dalle postazioni militari governative sui siti archeologici, si sono aggiunti trafugamenti di opere d’arte vendute all’estero per conto di privati cittadini e di miliziani anti-regime che in questo modo hanno trovato una fonte di auto-finanziamento. Con la formazione dello Stato islamico anche i jihadisti hanno partecipato a questo saccheggio, distruggendo luoghi di culto e di venerazione di particolari personalità dell’Islam, ora sono arrivati anche i danni arrecati dalla coalizione.

Nel dramma che vivono i milioni di siriani sfollati, espatriati, sotto assedio (per tacere dei morti), il patrimonio artistico del Paese finisce inevitabilmente in secondo piano, ma i beni culturali di una nazione sono patrimonio dell’umanità, quindi di tutti, e secondo le direttive impartite dall’Unesco, l’agenzia Onu per la salvaguardia del patrimonio, questi vanno tutelati, salvaguardati e protetti.

k2

Il 23 ottobre, i media di tutto il mondo hanno riprodotto un video (della AFP, Agence France Press) realizzato dal villaggio turco di Yumurtalik, mostra una collina dall’altra parte del confine dove si vedono due combattenti dello Stato Islamico (Is) uccisi da un fitto bombardamento americano, subito dopo aver issato su una collina la bandiera nera dell’Is. Così ha scritto il Corriere della Sera: “Un manipolo di jihadisti issa il vessillo: sventola per qualche istante, viene subito cancellato dal raid della coalizione”.

Quella che genericamente i media hanno definito “una collinetta” o la “collina di Tilsheir”, è il sito archeologico di Tell Sheir/Tell Shair che si trova 4 km a ovest dell’enclave curda di Kobane (Ayn al-‘Arab). La parola araba tell, significa collina, ma è utilizzata per tutti i monticoli di natura antropica che costituiscono il paesaggio archeologico del Vicino Oriente. Gli archeologi hanno adottato questo termine; sotto ad ogni tell frutto dell’accumulo stratificato di centinaia di anni, si nascondono antiche città.

Dal video si contano cinque esplosioni (ma sono stati lanciati 10 ordigni) che colpiscono il sito archeologico. Va premesso che in una situazione di guerra, la strategia militare spesso non tiene conto dei siti archeologici e che i bombardamenti della coalizione a Kobane servono per indebolire i combattenti dell’Is. Tuttavia sulla collina di Tell Sheir non si vedono postazioni militari e da lì non veniva bombardata Kobane, anche se un video successivo mostra segni di trincee sulla sommità, non è chiaro se realizzate dall’Is o presenti da prima.

In un arco di 10 km attorno a Kobane ci soB0tzv9KCMAAC73Tno i siti archeologici di Tell Korkah, Tell Arab Pinar, Tell Hajib e il sito di Arslantaş (l’antica Hadattu).

Sono inutili i richiami dell’Unesco al regime siriano per la salvaguardia del patrimonio culturale del Paese, così come le denunce verso le distruzioni dei monumenti storici operate dallo Stato islamico, se gli attacchi della coalizione non tengono conto del patrimonio archeologico della Siria mettendo questo in secondo piano rispetto alla strategia di guerra.

La responsabilità della distruzione del patrimonio storico artistico e archeologico siriano ha diversi attori con differenti colpe (1, 2). Da una parte vi è il regime, che sin dal 2011 ha danneggiato diversi siti archeologici nello scontro con i ribelli con colpi di mortaio e con l’aviazione, e ha utilizzato fortezze  e siti archeologici come avamposti militari. L’Unesco, il 30 marzo 2012, aveva pubblicamente chiesto alle autorità di Damasco di vigilare sui siti presenti sul territorio.

I danneggiamenti ai siti più significativi compiuti dall’esercito governativo siriano riguardano il bombardamento aereo della fortezza crociata dell’ordine degli Ospitalieri, il Krak de Chevalier (1, 2, 3), e i danneggiamenti al sito archeologico di Palmira usato come avamposto militare (1, 2, 3), assieme alla vicina fortezza islamica di Qalaat ibn Maan (XVI-XVII sec.).

Se da una parte il regime ha danneggiato parte del patrimonio storico del paese, dall’altra parte i funzionari della Direzione generale delle antichità e dei musei di Siria (DGAM), diretta da Maamun Abdel Karim, hanno ben operato mettendo in salvo i reperti conservati al Museo nazionale di Damasco e instaurando contatti diretti con con chi di fatto controlla ora le zone non controllate dal regime siriano, è il caso del museo di  Maarrat an Nouman in ottimo stato e minimamente danneggiato.

D’altra parte, del danneggiamento dei siti archeologici e della vendita illegale di opere d’arte sono responsabili anche privati cittadini: gruppi organizzati di scavatori clandestini e alcune brigate ribelli in questo modo hanno trovato una ulteriore entrata economica. Incredibili sono i danni causati dagli scavi illegali nella città di Apamea, fondata nel 300 a.C. da Seleuco I Nicatore e chiamata così in onore della moglie persiana Apame, e nel massiccio calcareo ai danni delle “città morte” bizantine (1, 2, 3), così come nel sito archeologico di Tell Hariri, l’antica città di Mari, capitale di un esteso regno amorreo tra il XIX e il XVIII sec. a.C., solo per citare alcuni casi emblematici.

Gli oggetti trafugati vengono poi portati illegalmente in Libano e Turchia (1, 2, 3) per essere rivenduti nei circuiti del mercato clandestino internazionale.

Con la comparsa dell’Isis (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) poi diventato Stato islamico, un nuovo attore è comparso a condividere la responsabilità della distruzione del patrimonio storico artistico siriano oltre che iracheno.

Stando ad alcune testimonianze, lo Stato islamico (1, 2) si autofinanzia anche tramite il mercato clandestino di oggetti d’arte, anche se al momento le considerazioni di questi articoli non hanno trovato riscontro. Quel che è certo è l’avvenuta distruzione di alcuni importanti monumenti, come i leoni dell’VIII sec. a.C., della porta della città neo-ittita di Hadattu (la moderna Arslantaş) che si trovavano in un parco di Raqqa e sono stati distrutti con un bulldozer.

Oppure le splendide statue provenienti da uno scavo clandestino di Tell Ajaja (l’antica Shadikanni,  I millennio a.C.), intercettate dall’Isis e distrutte prima della loro vendita in Turchia.

Scavi clandestini accanto alla bandiera nera dell’Is sono stati fatti nella regione da Hassakah a Tell Hamidiya e Tell Tcholema Fowqani, ma soprattutto sono stati distrutti volontariamente luoghi di culto legati a personalità dell’Islam sunnita o sciita o della storia islamica, come il piccolo mausoleo che si trovava nella moschea di Raqqa, il mausoleo sufi di Abu Qalqal a Membij (Aleppo), il mausoleo sufi di Nebi Daud nella regione di Azaz (Aleppo), il mausoleo del califfo Omayyade Sulayman ibn Abd al-Malik a Dabiq (Aleppo), la Moschea di Giona (1,2,3), noto come Nebi Yunis, a Mossul in Iraq, al di sotto della quale si trova un palazzo assiro da cui provengono due splendidi tori alati (detti lamassu) rinvenuti nel 1990.

Molti altri monumenti sono stati distrutti dallo Stato Islamico in Iraq, e altri ancora si trovano in una situazione di pericolo.

In questo sconsolato panorama è arrivato purtroppo anche il contributo degli Stati Uniti, speriamo limitato a questo singolo episodio.

Il 25 ottobre si è tenuta a Venezia la prima edizione del Cultural Heritage Rescue Prize (Premio Internazionale per la salvezza del Patrimonio Culturale), un premio di 10.000 euro è stato assegnato a un’istituzione che si è impegnata per proteggere la cultura e l’arte nel corso del conflitto in Siria, si è discusso della “drammatica attualità della distruzione del patrimonio culturale nel conflitto in corso in Siria e Iraq”; sarebbe un paradosso parlare e assegnare premi se poi come coalizione partecipiamo in qualche modo a quella stessa distruzione.