Hezbollah, la guerra costa

Una delle immagini del luogo dell'esplosione del 2 gennaio 2013Il 2014 si è aperto a Beirut come si era chiuso il 2013: con l’ennesima autobomba che semina il terrore nella capitale di un Paese che, nonostante l’endemica instabilità e la vicina guerra siriana, è finora riuscito a non precipitare nel baratro di una guerra intestina generalizzata.

L’ultimo attentato è del 2 gennaio, alla periferia sud di Beirut, roccaforte di Hezbollah, colpita con una frequenza senza precedenti: quattro volte in cinque mesi. L’attacco non è stato ancora rivendicato ma due giorni fa fonti di stampa locali avevano annunciato l’arresto di un saudita, Majid al Majid, presunto leader di un gruppo qaedista che a novembre aveva rivendicato il duplice attentato contro l’ambasciata iraniana a Beirut.

Solo pochi giorni prima, il 27 dicembre, il centro della capitale era stato scosso dall’uccisione, sempre con autobomba, dell’ex ministro Muhamad Shatah – membro della coalizione politica anti-iraniana – e di altre cinque persone. In quel caso, Saad Hariri, capo della coalizione, aveva puntato il dito in modo implicito contro l’Iran e il regime siriano.

Secondo i bilanci ancora parziali riferiti dal ministero della Sanità la sera del 2 gennaio sono almeno cinque le persone uccise oggi nell’attentato suicida. I feriti sono oltre 70, ma alcuni di loro versano in condizioni molto gravi.

L’esplosione è avvenuta alle 16 locali – le 15 in Italia – in un’affollata e trafficata via ad appena 200 metri dalla sede dell’ufficio politico degli Hezbollah. Le prime ricostruzioni fornite dall’esercito affermano che un kamikaze a bordo di un’auto di grossa cilindrata si è fermato in doppia fila di fronte al ristorante Jawwad, in via Aarid, vicino a dove hanno sede diverse abitazioni di leader di Hezbollah, e ha poi azionato il detonatore della bomba di circa 20 chilogrammi di tritolo.

L’intero quartiere a sud di Beirut, noto come Dahiye (periferia), è controllato dalla milizia filo-iraniana, impegnata da oltre un anno con migliaia di suoi uomini a combattere nella vicina Siria a fianco del regime di Damasco. E per questo è entrata nel mirino di gruppi sunniti estremisti, sostenitori della rivolta anti-regime siriano.

A luglio scorso risale il primo attentato nella parte sud di Beirut. Ma il più grave si era registrato a Ferragosto, quando ben 27 persone erano state uccise in un’attacco analogo a quello compiuto oggi. Il 19 novembre un duplice attentato suicida contro l’ambasciata iraniana aveva ucciso 25 persone, tra cui l’addetto culturale iraniano e il capo della sicurezza della sede diplomatica, un dirigente militare di Hezbollah.

All’inizio di dicembre un alto membro del Partito di Dio, Hasan Laqqis, responsabile della fornitura in Libano degli aerei spia senza pilota (droni) di fabbricazione iraniana, era stato assassinato da sicari a Beirut. E pochi giorni dopo un’autobomba aveva preso di mira, per la prima volta, un campo di addestramento della milizia filo-iraniana nella valle orientale della Beqaa.

Tutti i leader politico-confessionali libanesi e lo stesso presidente della Repubblica Michel Suleiman si sono affrettati a condannare l’attentato, definendolo un colpo alla stabilità e alla “pace civile” di tutto il Libano. Trasversalmente, si sono tutti trovati d’accordo nel definire l’attacco frutto di un “terrorismo che non esclude nessun libanese”. (Ansa, 2 gennaio 2013).