Prima erano sicuri che il loro alleato siriano avrebbe gestito senza problemi le inedite proteste. Poi si sono sintonizzati sulla versione del complotto sionista-americano-saudita-qatarino-turco.
Ora dicono che se anche dovesse cadere il regime di Bashar al Asad, ciò non avrà ripercussioni in Libano, specialmente sui rapporti di forza interni al Paese dei Cedri.
Il movimento sciita libanese Hezbollah mostra una graduale flessione nella retorica circa le manifestazioni in Siria represse con la violenza e ora trasformatesi in rivolta, armata in alcune regioni chiave.
Lo scorso 15 febbraio, il numero due del partito di Dio, lo shaykh Naim Qassem, parlando agli studenti dell’Università statale libanese – sezione Hadath, zona cristiana ai margini della periferia sud roccaforte del movimento – si è così pronunciato sul tema:
“Non importa quali sviluppi si avranno in Siria… e sembrano comunque andare nell’interesse del regime e della sua tenuta… ma quali che siano gli sviluppi, positivi o negativi, questi non cambieranno l’equazione in Libano. Perché l’equazione in Libano è quella della resistenza del popolo. Che non può essere scossa dalle trombe d’aria”.
Insomma Hezbollah si rivolge ai nemici ma soprattutto agli amici per rassicurarli. Evidentemente, a Dahiye non sono così sicuri del futuro.
Sul sito Internet della tv al Manar di Hezbollah il testo del discorso di Qasem.
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