In carcere il “capo” dei rapitori dei sette ciclisti estoni

Wael Abbas, 29 anni di Majdal AnjarE’ stato consegnato alle autorità libanesi dalle forze di sicurezza siriane il presunto capo della cellula che nell’aprile scorso aveva sequestrato sette ciclisti estoni nella valle orientale della Bekaa, in Libano.

Lo si apprende dalla stampa di Beirut e da quella panaraba, che citano fonti della sicurezza libanese. Wael Abbas, 29 anni, è stato arrestato a metà ottobre all’aeroporto di Doha, in Qatar, perché titolare di un passaporto spagnolo falso. Le autorità qatarine lo hanno rispedito da dove era partito. A Damasco.

In Siria, Abbas era entrato qualche tempo prima con una carta d’identità falsa, col cognome di Fleiti, della regione frontaliera libanese dell’Aarsal. I sette estoni erano stati sequestrati alla fine di marzo scorso da ignoti uomini armati nei pressi di Zahle, principale centro della Beqaa.

Erano stati liberati a luglio al termine di lunghe indagini conclusesi con un blitz dei servizi di sicurezza francesi. Secondo il quotidiano libanese an-Nahar, per il rilascio dei sette estoni sono stati pagati due milioni di dollari.

A settembre, la polizia libanese aveva ucciso due presunti membri della cellula dei rapitori nella parte meridionale della Beqaa. Successivamente, due poliziotti erano stati feriti – uno in maniera grave, è poi morto – durante uno scontro a fuoco a Shtura, sempre nella valle libanese, con altri sospettati di aver preso parte al sequestro.

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, ottenute grazie alle confessioni di quattro presunti membri del gruppo dei rapitori arrestati nelle settimane precedenti, Abbas era stato incaricato da mandanti sconosciuti di rapire i ciclisti e deportarli in Siria attraverso i valichi illegali che partono dalla località libanese di Dayr al Ashayr, nella bassa valle della Beqaa.

Wael Abbas è originario di Majdal Anjar, località lungo l’autostrada Beirut-Damasco, nota per essere un “covo di estremisti islamici”. Da Majdal Anjar provenivano il capo e alcuni membri della cellula che, secondo i servizi di sicurezza italiani, tentarono di compiere un attentato nel 2004 all’ambasciata d’Italia a Beirut, quando la sua sede era ancora nella centralissima Place de l’Etoile. Secondo i quotidiani di Beirut, Abbas non era però un giovane osservante. Tantomeno barbuto salafita.

Dopo aver lavorato in una fabbrica nella zona industriale di Zahle, aveva aperto un negozio di alluminio a Majdal Anjar. Era sposato da poco e suo figlio è nato mentre lui era impegnato a tenere a bada i sette estoni.

Dal racconto di an-Nahar, si apprende che Abbas voleva godersi la sua quota del riscatto in Brasile. E forse, la tappa di Doha, era la prima di un lungo viaggio verso l’altro emisfero.

Un’ipotesi che avvalora la tesi dei “cani sciolti”. Ovvero che la banda di Abbas abbia lavorato in proprio, senza esser legata a organizzazioni più ampie o, addirittura, usata da servizi di sicurezza regionali, con obiettivi politici. Come è stato invece il caso di numerosi rapimenti e uccisioni avvenuti in Libano all’ombra della guerra civile (1975-90). Aspettiamo di veder pubblicate indiscrezioni sui suoi interrogatori.