Le “pluralistiche” elezioni presidenziali, Asad fino al 2028

SANA picture shows forces loyal to Syria's President Assad carrying pictures of him and his late father at an undisclosed location

(di Lorenzo Trombetta, Europa). Il contestato raìs siriano Bashar al Assad, emerso ormai come il più potente signore della guerra in un paese sempre più devastato dal conflitto in corso, si appresta a esser confermato “presidente della Repubblica araba di Siria” per altri sette anni, fino al 2021. E formalmente potrebbe rimanere capo di stato fino al 2028. Il portavoce del governo siriano, Umran Zubi, ha infatti annunciato che il prossimo 20 aprile si aprono le candidature per le elezioni presidenziali, previste per giugno. Il secondo settennato di Assad (2007-2014) scade a luglio.

A metà marzo, gli organi legislativi siriani avevano messo a punto una nuova legge elettorale che di fatto escluderà gran parte dei dissidenti e oppositori – in patria e all’estero – dalla possibilità di candidarsi in quelle che il regime pubblicizza come le prime consultazioni presidenziali pluralistiche. L’assemblea legislative siriana, eletta nel 2012, è dominata da una schiacciante maggioranza di deputati del partito Baath, al potere da mezzo secolo, e da altri “indipendenti” vicinissimi al regime.

Formalmente, la nuova legge conferma l’abolizione, decisa tre anni fa, della supremazia del Baath. Nell’ambito delle riforme – cosmetiche – avviate da Assad per mostrare all’opinione pubblica interna e internazionale la sua volontà di rispondere alle richieste di cambiamento espresse per la prima volta in modo massiccio nella primavera del 2011, nell’agosto di quell’anno era stata promulgata una nuova legge elettorale seguita agli inizi del 2012 da una nuova costituzione.

Nelle legislative del 2012, il Baath ha comunque stravinto e ha ottenuto una maggioranza ancor più schiacciante del passato. Difficile parlare di “elezioni libere”, anche perché – come avverrà per le prossime presidenziali – le consultazioni tenutesi due anni fa per il rinnovo del parlamento sono state dominate da un clima di intimidazione, violenza e radicalizzazione del conflitto armato.

Citato dall’agenzia ufficiale Sana, il presidente del parlamento Jihad Lahham aveva precisato lo scorso 11 marzo che, per evitare contraddizioni tra la nuova costituzione e la legge del 2011, quest’ultima andava modificata. L’attuale costituzione prevede l’elezione del nuovo capo dello stato al massimo due mesi prima lo scadere del mandato. Nel caso specifico, il settennato di Assad si conclude il 17 luglio e quindi entro la metà di maggio bisognerà tenere elezioni. Sempre secondo il testo costituzionale, queste saranno aperte ad altri candidati e non si svolgeranno come in passato.

Secondo la precedente costituzione, promulgata nel 1973 ed elaborata dal regime di Hafez al Assad, padre dell’attuale raìs, il capo dello Stato non veniva eletto né dal parlamento né dai cittadini ma giungeva in cima alla piramide istituzionale attraverso tutto un altro processo.

Prima di tutto, i vertici del Baath, al potere dal 1963, proponevano all’assemblea legislativa di unico un candidato (sempre e solo Hafez al Assad, poi dal 2000 sempre e solo Bashar al Assad). Quindi, l’assemblea approvava  la candidatura e indiceva un referendum popolare confermativo. Infine, i cittadini venivano chiamati a esprimere il loro consenso o il loro dissenso alla nomina parlamentare. Nel 2000 Bashar al Assad è stato così nominato presidente con il 97,29 per cento dei sì e sette anni dopo ha migliorato la sua prestazione assicurandosi il 97,63 per cento dei consensi (+0,34).

L’articolo 88 della nuova costituzione prevede l’impossibilità del presidente di presentarsi per più di due mandati, ma l’articolo 100 afferma che questa norma vale solo a partire dalle prossime elezioni: il conto comincia dunque solo dal 2014 e Bashar al Assad può così presentarsi, almeno sulla carta, per altri due mandati e rimanere presidente fino al 2028.

Le prossime elezioni saranno però diverse dal passato: ci potranno essere più candidati e questi saranno votati direttamente dai cittadini. Ma chi ha diritto di candidarsi? È su questo punto che stanno lavorando alacremente le istituzioni del regime. Con un unico obiettivo: escludere ogni possibile candidato in grado di insidiare la posizione di Assad.

Secondo la legge del 2011 e la costituzione del 2012, il candidato deve avere almeno 40 anni; deve avere la nazionalità siriana di nascita e da parte di entrambi i genitori, anch’essi siriani alla nascita; non deve avere accuse pendenti; non deve esser sposato con una non siriana (il testo parla solo al maschile, quindi sono escluse le donne); deve risiedere in Siria in maniera continuativa da almeno dieci anni.

Nella bozza di legge elettorale approvata dal parlamento a metà marzo ci sono inoltre delle note aggiuntive non secondarie: il candidato deve avere già compiuto 40 anni all’inizio nell’anno della candidatura; non deve aver alcuna altra nazionalità e deve avere pieno diritto di voto (così si escludono tutti i siriani che non possono rinnovare i propri documenti di identità, emessi secondo nuove regole e in un contesto in cui numerosi registri anagrafici sono andati distrutti).

Gran parte dei membri della Coalizione delle opposizioni in esilio, dei dissidenti storici presenti in Siria o all’estero, degli esponenti del Comitato di coordinamento nazionale (la cosiddetta opposizione tollerata interna) sono così tutti esclusi dalla possibilità di candidarsi: o perché vivono all’estero, o perché sono sposati con non siriane, o perché su di loro pendono condanne per “terrorismo” o perché i loro fondi in patria sono stati congelati dal regime.

Un altro sbarramento alle candidature di persone non gradite al regime è costituito dalla norma che prevede che il candidato sia sostenuto, in modo scritto, da almeno 35 deputati (su un totale di 250 deputati). Ciascun parlamentare può esprimere il suo appoggio solo a un candidato. Tenendo conto che il Baath e i partiti satelliti controllano l’assemblea legislativa, sarà di fatto impossibile a un candidato indipendente, a un vero oppositore o dissidente raccogliere i consensi di 35 deputati.

Questo mentre da settimane nelle città ancora sotto il controllo del regime sono cominciate le attività “popolari”, promosse dalle sedi del Baath e da altri organi del regime, per esprimere il sostegno alla candidatura di Bashar al Assad alle prossime elezioni. Ufficialmente il Baath non ha presentato nessuna candidatura, ma a breve e una volta che sarà stata votata la nuova legge elettorale, il processo comincerà a tappe serrate e si concluderà con la vittoria di Assad nelle “prime elezioni presidenziali pluralistiche” avvenute nel paese dal 1958. (Europa Quotidiano, 13 aprile 2014).