Caraffe d’acqua fresca e fiori ai soldati impegnati nella repressione: era la ricetta tentata invano più volte da Ghiyath Matar e da altri giovani attivisti siriani in un sobborgo di Damasco, uno degli epicentri della rivolta che giovedì prossimo compirà sei mesi esatti e che solo oggi ha registrato l’uccisione, secondo fonti anti-regime, di almeno venti persone.
Il corpo di Matar è stato riconsegnato sabato notte alla famiglia con evidenti segni di torture e maltrattamenti. Un lungo taglio, ricucito con vistosi punti di sutura, dal petto all’ombelico, è la traccia più visibile in un filmato amatoriale da oggi pubblicato su Youtube dagli amici di Matar, morto senza aver visto nascere la sua prima figlia.
Le crude immagini, le ennesime della repressione compiuta da mesi dal regime di Damasco, hanno fatto il giro della rete nel giorno in cui per la prima volta, da Mosca, un consigliere presidenziale del raìs siriano Bashar al Assad ha riconosciuto l’esistenza di un numero consistente di vittime civili: “700 civili e 700 tra agenti e militari”, ha affermato Buthaina Shaaban.
Ai soldati che venivano inviati per disperdere i continui cortei a Daraya, depressa area residenziale a sud della capitale, Matar e compagni avevano provato più volte a offrire gesti di pace. La risposta era stata sempre la stessa: pallottole sparate ad altezza d’uomo. Secondo i Comitati di coordinamento locale, piattaforma che riunisce parte degli organizzatori delle proteste, 238 persone sono state uccise nella cintura dei sobborghi di Damasco. Di queste, decine di giovani di Daraya sono morti raggiunti da proiettili alla testa o al collo.
E se gli attivisti riferiscono di un bilancio totale finora di oltre 3.000 uccisi, le Nazioni Unite hanno oggi aggiornato il loro conto, passando dai circa 2.200 annunciati a giugno ai circa 2.600 attuali. A cui si aggiunge – secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria – la lista completa delle vittime odierne: 17 nella regione di Hama, due a Rastan (Homs), e un quattordicenne, Izzat Lababidi, a Duma, altro sobborgo di Damasco.
Matar era stato arrestato lo scorso 6 settembre assieme a Yahya Sharbaji in un agguato teso da uomini dei servizi di sicurezza, che avevano costretto a chiamare Sharbaji dal fratello Maan. Fermato in precedenza, Maan era stato costretto sotto tortura a telefonare ai due attivisti chiedendo loro di accorrere a casa perché era “rimasto ferito a una gamba in un raid della polizia”.
Una volta giunti nell’abitazione – raccontano i Comitati di coordinamento – Sharbaji e Matar sono finiti nella rete. Il primo è morto e del secondo non si hanno più notizie. Le organizzazioni umanitarie in Siria e all’estero, tra cui Human Rights Watch, temono che i fratelli Sharbaji possano aver subito la stessa brutale sorte di Matar.
Mentre da Francia e Stati Uniti giungono condanne per l’uccisione del giovane, gli attivisti siriani sul web pubblicano foto e video di Sharbaji, giovane di 32 anni, descritto come il vero teorico della lotta pacifica a Daraya e la guida di molti altri giovani come Matar. Laureato in Scienze politiche, Sharbaji non è nuovo alle carceri del regime siriano: per il suo ostinato impegno in difesa delle libertà personali, nel 2003, all’età di 24 anni, era stato arrestato e tenuto in isolamento fino alla fine del 2007 nella prigione militare di Saydnaya.
La detenzione non lo aveva fatto desistere dai suoi convincimenti: ha continuato la lotta fino a diventare uno dei promotori, lo scorso 15 marzo, di quel sit-in senza precedenti tenutosi di fronte al ministero degli Interni di Damasco che ha di fatto dato il via alla “rivoluzione”.
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Sharbaji in un intervento quest’anno al Centro culturale di Daraya
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