(di Lorenzo Trombetta, 29 agosto 2013*). Oltre cento civili siriani, uomini ma anche donne e bambini, appartenenti alla stessa comunità della famiglia presidenziale Asad, sono stati uccisi in quello che secondo fonti concordanti appare come la prima sanguinosa rappresaglia contro abitanti della zona costiera siriana, a maggioranza alawita e minacciata da una crescente presenza di miliziani sunniti di diversi Paesi arabi e musulmani.
Il crimine è avvenuto all’inizio di agosto in una decina di località sulle montagne nella Siria occidentale, lungo il confine tra il Jabal al Akrad, a maggioranza sunnita, e le propaggini montagnose, a maggioranza alawita.
Le fonti interpellate dall’Ansa, che preferiscono rimanere anonime e che si occupano di monitorare le violazioni dei diritti umani commessi da ogni parte coinvolta nel conflitto in corso, lavorano alla raccolta di prove che confermino quanto denunciato da attivisti filo-regime.
Le prime notizie del crimine sono state diffuse nella regione il 20 agosto, quando le forze filo-regime sono riuscite a riprendere controllo del territorio dopo la ritirata dei jihadisti.
Il 21 agosto nella regione costiera si sono svolti i funerali delle 129 persone vittime. Proprio mentre nella regione di Damasco veniva compiuto il presunto attacco con armi chimiche, nel quale sono morti – secondo fonti ancora non verificabili in maniera indipendente – oltre mille persone.
Il crimine nella zona a maggioranza alawita nel nord-ovest della Siria si era però consumato tra il 4 e il 5 agosto. Nei villaggi di Ambato, Talla, Beit Shakkuhi, Balluta, Esterba, Abu Mekka, Hanbushiya, Baruda, Kharrata e Baramse sono piombati centinaia di miliziani appartenenti a ben 13 diverse brigate jihadiste, tra cui lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) e la Jabhat an Nusra.
Secondo il racconto delle fonti – la cui autorevolezza è stata in precedenza verificata – le milizie lealiste note come Esercito di difesa nazionale hanno ricevuto l’ordine di ritirarsi e di lasciare sguarniti i villaggi. “E’ una tattica che il regime adotta spesso: prima fa entrare il nemico in una roccaforte e poi lo bombarda dall’alto. Ma alla vista dei lealisti che lasciavano i villaggi, gli abitanti hanno implorato loro di rimanere a proteggerli. Ciò non è però avvenuto”.
Le fonti assicurano che tra i jihadisti c’erano anche formazioni che si dicono attive sotto il cappello dell’Esercito libero, nebulosa di gruppi armati, inizialmente (autunno 2011) dominati da disertori dell’esercito siriano, successivamente (inizi 2012) composti in larga parte da civili e sempre più sopraffatti dalla crescente presenza di stranieri.
Nell’attacco, “condotto da libici, ceceni, egiziani e altri stranieri di varie nazionalità, sono state uccise intere famiglie. Per lo più i criminali si sono accaniti sugli uomini. Un centinaio tra donne e i loro figli sono stati portati in località sconosciute”.
L’anno scorso – ricordano le fonti – le stesse località alawite erano state obiettivi dell’Esl, ma allora i ribelli avevano preso di mira i militari degli Asad e non i civili. In un video del 12 agosto scorso, una delle donne rapite parla, probabilmente sotto la pressione dei carcerieri: ”Siamo in 105 e siamo detenute presso i mujahidin”.
“Non ci liberano fino a quando non verranno liberati i loro prigionieri tra regime. Ci trattano bene, ma chiediamo alla comunità internazionale e alle autorità (siriane) che ci liberino”. Le fonti confermano che le donne e i minori sono stati rapiti per usarli in scambio di prigionieri con i miliziani incarcerati dal regime.
Per uno dei jihadisti autori dell’operazione e ripreso nel filmato, ”l’attacco è stato diretto contro gli shabbiha”, termine con cui si designano i membri delle milizie filo-regime, per lo più alawiti. Il mujahid nega che vi sia stato un massacro: ”Abbiamo trovato resistenza da parte loro, ma gli uomini sono poi fuggiti. In alcuni casi ci sono state sparatorie e qualcuno è morto”.
Diversi osservatori siriani e stranieri avevano da tempo messo in guardia la comunità internazionale dal pericolo di sanguinose rappresaglie contro gli alawiti – branca dello sciismo – da parte delle frange più estreme delle milizie anti-Asad, espressione del sunnismo.
Rappresaglie che rispondono ai massacri perpetrati dalle milizie filo-regime. Di recente, un video pubblicato su Internet ha mostrato il sedicente comandante dell’attacco del 4-5 di agosto, tale Abu Mussab al Libi (il libico), che afferma che ”il regime ha rifiutato l’offerta di uno scambio tra i miliziani prigionieri e le donne e i bambini alawiti rapiti”.
Le fonti intervistate affermano che una ventina di abitanti dei villaggi attaccati sono stati rapiti e portati in un luogo sconosciuto “da una brigata comandata da un ceceno. Ma di queste persone “non si hanno più notizie”.
Per quanto riguarda il destino delle 105 persone rapite, tutte donne e minori, alcuni parenti residenti a Latakia hanno ricevuto chiamate telefoniche dalle loro mogli imprigionate da Abu Mussab al Libi.
In un caso, a un siriano sposato con una rapita e padre di quattro bambine rimaste con la madre, in cambio della loro liberazione il jihadista ha chiesto la scarcerazione di tre libici detenuti nelle carceri del regime.
Il padre di famiglia si è quindi recato alla sede dei servizi di sicurezza militari di Latakia ma i comandanti locali hanno respinto la richiesta di scambio. Quindi Abu Mussab al Libi avrebbe chiesto allo stesso padre un riscatto di “quattro milioni di lire siriane” (circa 27mila euro).
Le fonti affermano che nei giorni scorsi alcuni religiosi sunniti di Latakia, tra cui il mufti locale, la maggiore autorità sunnita della regione, hanno tentato personalmente di mediare per la liberazione delle donne e dei loro figli. Ma il loro intervento è stato rifiutato dai jihadisti.
Nelle ultime ore – aggiungono le fonti – le persone rapite sono state spostate in una località al confine con la Turchia. In una zona sempre esposta ai raid aerei del regime. Il pericolo – affermano le fonti – è che possa compiersi un’altra strage o a causa di bombardamenti indiscriminati o per mano dei criminali jihadisti.
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*Aggiornamento del 31 agosto 2013: all’articolo originale dell’Ansa del 29 agosto sono stati aggiunti dettagli relativi al numero delle vittime, alle modalità del crimine commesso all’inizio di agosto e all’evolversi dei tentativi di mediazione per liberare le donne e i loro figli.
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