Periodici stampati in proprio a Damasco e distribuiti in modo clandestino, proprio ”come ai tempi della lotta per l’indipendenza dal colonialismo francese”, a dieci giorni dall’entrata in vigore della ”nuova legge sui media” denunciata come una ”farsa” da giornalisti indipendenti: accade in questi giorni in Siria, scossa da sei mesi di proteste anti-regime senza precedenti e da una sanguinosa repressione che secondo gli attivisti ha causato la morte di circa 3.000 persone e la scomparsa nelle carceri di oltre 10.000 civili.
Si chiama ”Hurriyat” (Libertà, al plurale) e vanta di essere il ”primo periodico della rivoluzione siriana”, distribuito per ora a Damasco e a Homs, terza città del Paese a nord della capitale. Il suo terzo numero è in corso di stampa ma la versione online (tramite Facebook) è già disponibile: dodici pagine a colori, con notizie degli eventi della settimana a seconda delle regioni colpite dalla repressione, analisi, commenti e previsioni. I mezzi d’informazione ufficiali avevano nei giorni scorsi ribadito che in forza della nuova legge sulla stampa erano state abolite le restrizioni sui media in vigore da quasi mezzo secolo nella Siria baatista (1963-).
”È vero solo sulla carta, in realtà non è cambiato nulla”, afferma Karim Layla, pseudonimo del direttore del clandestino Hurriyat. ”Vorremmo tanto ottenere il permesso per poter lavorare allo scoperto”, ha detto Layla rispondendo via Skype alle domande dell’ANSA. ”La legge sui media è come quella sui partiti o quella che ha abolito formalmente la legge d’emergenza (in vigore da 48 anni, ndr). Di fatto non è applicata e non c’è alcun tipo di fiducia tra il popolo e un regime che continua a uccidere e arrestare i civili”.
Alla fine di agosto il noto vignettista siriano Ali Farzat, nel 2000 fondatore di un giornale satirico poi costretto alla chiusura, era stato sequestrato per qualche ora e picchiato da non meglio precisati uomini armati in una centrale piazza di Damasco sotto lo sguardo di uomini del regime. A Hurriyat lavorano ”decine di collaboratori presenti in tutte le regioni siriane”, ma il cuore della redazione è composto da un pugno di giovani attivisti. ”Siamo pionieri del giornalismo, non abbiamo una preparazione giornalistica”, ammette Layla, trentenne originario di Damasco, con una formazione scientifica.
Il settimanale si autofinanzia ed è alla ricerca di sostegno tramite collette da organizzare all’estero e nel vicino Libano. Analoga è l’esperienza del neonato al Badil (l’Alternativa), il cui numero zero ha visto la luce nei giorni scorsi. Di sole quattro pagine, a colori, al Badil è assai meno diffuso e noto nei circoli della rivolta siriana, ma nell’editoriale si presenta come un prodotto frutto del lavoro di giornalisti professionisti che si sono ”uniti alla rivoluzione”, per contrastare ”i media bugiardi del regime”. L’obiettivo del periodico, di cui però non si conosce la frequenza di pubblicazione, è ”seguire gli eventi della rivoluzione, riportare i diversi pareri della strada, nel rispetto del pluralismo”. Per ”far cadere il regime dittatoriale e creare un sistema democratico e civile (non militare né religioso), per metter fine all’era del partito unico. In un Paese dove possano partecipare tutti i siriani e tutte le siriane senza distinzione confessionale, tribale o ideologica. Per vivere in libertà e dignità, senza umiliazione e paura, secondo i principi di giustizia sociale e pari opportunità”.
Come afferma Layla, Hurriyat, che viene stampato anche in Francia, Germania, Austria e Libano, ha l’obiettivo primario di raggiungere a Damasco ”tutti quei siriani silenziosi e anche quelli sostenitori del regime”.
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