Una questione siriana, a Firenze

Avvolti in un mantello, che poi non era altro che una grande bandiera siriana, e armati di sciarpe e braccialetti che sfoggiavano gli stessi colori della nazione, così si sono presentati i sostenitori di WikiSham e di #Syria alla terza edizione del film festival Middle East Now che ha avuto luogo dal 12 al 16 aprile nei cinema Odeon e Stensen di Firenze.

È stata una bella occasione che ha fatto conoscere e ha permesso di vedere sul grande schermo i cartoni realizzati dal collettivo che sostiene la rinascita della Siria e vuole la caduta del presidente Bashar Assad e della sua cricca al potere. La serie di WikiSham, per ora ferma a sei episodi, è realizzata da un gruppo di cinque giovani che vivono tutti lontano dal Medio Oriente.

Due di loro, in sala per parlare del loro lavoro, hanno detto che partendo da zero sono riusciti a creare una piccola catena produttiva in cui ognuno ha trovato una forma di specializzazione. Ecco che c’è chi si occupa di scrivere lo storyboard e i dialoghi, chi delinea i personaggi, chi disegna e realizza le animazioni, e chi affina il prodotto (la fase di editing), prestando anche la voce ai personaggi. I pochi minuti di animazione di ogni episodio richiedono almeno 15 giorni di lavorazione.

I cartoni di WikiSham che circolano prevalentemente su Youtube non sono stati pensati o progettati per nessun mezzo di diffusione specifico e se qualche televisione volesse mandare in onda gli altri otto episodi in uscita, farebbe la felicità dei giovani realizzatori.

“C’è bisogno di far conoscere con qualsiasi mezzo quello che sta succedendo” – hanno ribadito con calma e fermezza gli autori del progetto. I due cartonisti presenti, figli della diaspora, hanno rivelato al pubblico che la loro esperienza con la Siria è il risultato dei racconti sofferti e dettagliati di amici e familiari costretti ad abbandonare il Paese in cui erano nati. Gli episodi comici de “Il palazzo del popolo” sono ispirati dalle notizie che il regime cerca di minimizzare e nascondere, ma che si trovano per fortuna su Internet grazie alle testimonianze delle persone che le diffondono attraverso i social network.

“Anche se di solito non fa riferimento a nessun episodio di cronaca specifico, WikiSham con la sua satira politica intende denunciare i massacri e i criminali che li eseguono” – hanno dichiarato i due ragazzi rispondendo al pubblico di Firenze. Ecco che oltre al presidente Assad si ritrovano sulle strisce altri personaggi influenti dell’area, come il presidente iraniano Ahmadinejad e il Grand Ayatollah Ali Khamenei. Quello che viene fuori, al di là della macabra ironia, è – oltre alla denuncia – la presa di coscienza che quello che sta accadendo non scandalizza abbastanza nessuna grande potenza mondiale ed è per questo che le drammatiche condizioni degli oppositori si protraggono inalterate.

“La rivoluzione in Siria – hanno ribadito gli ospiti presenti al festival – la sta facendo solo ed esclusivamente il popolo siriano e di fronte all’insabbiamento dei massacri messo in opera dal regime è necessario levare un grido, non solo di dolore ma anche e soprattutto di protesta”.

È questa stessa indignazione che ha voluto trasmettere Hamza al ‘Abdallah, in programma con il suo primo film #Syria. Il racconto filmico di al ‘Abdallah comincia con un’intervista a due giovani internauti che convogliano e fanno circolare in rete, prevalentemente via Twitter, tutto quello che vengono a sapere da parte degli oppositori al regime.

Il film continua con la testimonianza di due attivisti, uno di Homs e l’altro di Daraa, che sono riusciti a lasciare clandestinamente il Paese e che raccontano le torture subite dai rappresentanti dell’esercito. E non solo da loro, visto che dietro la macchina da presa precisano costantemente che non riuscivano ad avere ben chiaro chi li stesse interrogando e che in molti casi – dall’accento – sospettavano che i carnefici non fossero esclusivamente dei siriani.

Il regista ha detto di aver montato il film in occasione della rassegna di Firenze ma di aver filmato la maggior parte del materiale tra luglio e ottobre 2011. “Ci sono ancora moltissime atrocità da far conoscere” – ha dichiarato. Adesso vive in Giordania, ma va costantemente anche sulla frontiera turca, in cerca di testimonianze e per portare soccorso ai feriti.

Ha deciso di concludere il suo film con i racconti di un gruppo di donne di Amman che si preoccupano di accudire i rifugiati siriani, terrorizzati e diffidenti anche di fronte ai loro primi soccorsi.