Un Libano ‘dissociato’ attende la Siria

Bashar al Assad (sx) e Michel Suleiman (dx)(di Alberto Zanconato* per ANSA) ‘Dissociazione': incurante dei suoi risvolti psichiatrici, il governo libanese ha scelto questo termine per spiegare la sua posizione nei confronti della crisi siriana, che rischia di riaccendere tensioni mai completamente sopite anche nel Paese dei Cedri, lasciato dalle truppe di Damasco nel 2005, dopo 29 anni di occupazione.

“Ogni persona sana di mente dovrebbe essere preoccupata delle ripercussioni della crisi siriana in Libano”, ha avvertito di recente il presidente, Michel Suleiman, in un’intervista al quotidiano Daily Star di Beirut.

“La cosa migliore sarebbe estinguere l’incendio, ma se non ne siamo capaci, dovremmo almeno cercare di non alimentare le fiamme”, ha ammesso. E in quest’ottica rientra anche il voto contrario – l’unico insieme a quello dello Yemen – espresso dal Libano in occasione della sospensione di Damasco dalla Lega Araba, lo scorso novembre.

Qualche fiamma, sufficiente a far ravvivare il ricordo della terribile guerra civile politico-confessionale durata 15 anni (1995-1990) si è già vista il mese scorso nella città settentrionale di Tripoli, vicino al confine con la Siria.

Qui milizie di sostenitori alawiti del regime di Damasco – della stessa branca sciita del presidente Bashar al Assad – si sono scontrati per giorni con sunniti partigiani dell’opposizione, con un bilancio di alcuni morti e feriti.

E al visitatore oggi la stessa Tripoli appare come una retrovia dell’opposizione siriana, tra bandiere del fronte anti-regime, militari disertori curati in ospedale, aiuti umanitari ma anche qualche cassa di fucili automatici e lanciarazzi in partenza per il confine.

Con questo esempio davanti agli occhi, il presidente libanese ha detto di essere contrario all’allestimento di campi per i rifugiati siriani in Libano, dove sono già affluiti oltre 10.000 profughi e altre migliaia potrebbero arrivare.

Il timore, ha spiegato Suleiman, è che i campi diventino vere e proprie basi per un’azione militare organizzata contro il regime di Damasco. Le polemiche quotidiane degli esponenti politici libanesi non aiutano a placare gli animi.

All’avanguardia del fronte filo-siriano c’é il partito sciita Hezbollah, che siede nel governo del premier Najib Miqati, succeduto l’anno scorso a quello di Saad Hariri, sunnita su posizioni ostili a Damasco.

Hezbollah, che non rinuncia alla sua organizzazione militare nonostante due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ne abbiano chiesto il disarmo, è accusato dall’opposizione siriana di aiutare il regime nella repressione, come l’Iran, suo grande protettore.

Il leader del partito, Sayyid Hasan Nasrallah, nega e oggi ha anzi affermato di “condannare i massacri commessi in Siria”, auspicando una “soluzione politica”. Per Hariri, invece, i libanesi, hanno “l’obbligo politico e morale” di schierarsi con l’opposizione siriana contro “un regime in agonia”.

Ma le divisioni sono profonde anche nel fronte cristiano. Michel Aoun, la cui Corrente patriottica libera (Cpl) fa parte del governo, rimane schierato con Damasco. Samir Geagea, delle Forze libanesi (Fl), all’opposizione, accusa lo stesso Aoun di “difendere il regime più di Assad”.

E se le opinioni sono contrastanti, “tutti concordano sulla necessità di evitare che il Libano venga risucchiato nella crisi”, ha detto l’inviato del ministero degli Esteri italiano in Medio Oriente, Maurizio Massari, che alcuni giorni fa ha visitato Beirut. “Una politica – ha aggiunto il diplomatico – applicata finora con abilità, e che coincide con gli interessi della comunità internazionale”. (ANSA).

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* Alberto Zanconato è capo a Beirut dell’ufficio di corrispondenza dell’ANSA per il Medio Oriente, dopo esser stato per dodici anni responsabile della stessa agenzia di stampa a Teheran, in Iran.