(di Lorenzo Trombetta, Ansa). La Turchia rafforza le sue posizioni al confine siriano, e la Russia a sua volta schiera i missili in Siria: un Paese sempre più diviso in zone di influenza degli attori regionali e internazionali coinvolti a vari livelli nel conflitto che, dal 2011 a oggi, ha causato la morte di oltre 250mila persone e costretto 12 dei 22 milioni di siriani ad avere urgente bisogno di aiuto umanitario.
La Russia è da decenni il principale sponsor del regime di Damasco. Affermando di voler sconfiggere lo Stato islamico (Isis) dal 30 settembre Mosca ha avviato una campagna aerea mirata a proteggere le linee di difesa lealiste.
La capitale e la costa – ribattezzata “Russialand” – passando per la Siria centrale sono oggi spartite tra russi e iraniani. La Repubblica islamica e i loro clienti Hezbollah già controllano una striscia di Mediterraneo in Libano e adesso si sono assicurati una fetta di “Siria utile”, in particolare attorno a Homs, città sempre più “iranizzata”.
Nel Nord-Est le milizie curde hanno stabilito una zona con una larga autonomia, ma devono rispondere all’esigenze di Ankara che tenta di usare i curdo-siriani per assicurarsi l’egemonia economico-commeciale nella fascia Nord della Siria.
Ankara si serve anche di milizie turcomanne presenti nel Nord-Ovest della Siria. Raid aerei russi hanno nei giorni scorsi costretto alla fuga circa tremila civili turcomanni dalla regione di Latakia, non lontano dalla zona frontaliera dove è stato abbattuto il jet russo.
Ankara condivide anche quote di influenza con Arabia Saudita e Qatar nel manovrare a distanza una coalizione di miliziani anti-regime, operativi nell’area di Idlib. Tra questi ci sono anche qaedisti. Altri qaedisti ma meno influenti si trovano nell’estremo Sud, nella regione di Daraa al confine con la Giordania.
Il regno hascemita, per conto anche degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita, esercita influenza sui gruppi di insorti del Sud siriano. E fa sì che l’ala locale di al Qaida non prenda lì il sopravvento. I qaedisti del Sud sono rivali di un gruppo di jihadisti affiliati all’Isis e operativi a ridosso delle Alture del Golan controllate da Israele.
Lo Stato ebraico esercita la sua influenza assicurandosi che nessun gruppo armato abbia il sopravvento sull’altro e si preoccupa principalmente che gli Hezbollah non si avvicinino troppo alle Alture.
Lo Stato islamico sembra oggi l’attore più autonomo degli altri, nonostante debba la sua ascesa tra Iraq e Siria al contributo, diretto e indiretto, di gran parte degli attori coinvolti in Siria. La Turchia ha lasciato di fatto aperte le sue frontiere Nord all’ingresso di migliaia di aspiranti jihadisti.
I governi dei Paesi arabi del Golfo sono d’altro canto accusati di non aver impedito l’afflusso di danaro nelle casse dei jihadisti. Mentre il regime di Damasco, l’Iran e la Russia sono invece da più parte indicati come coloro che hanno lasciato espandere l’incendio jihadista per poi mostrarsi oggi come i pompieri più affidabili. (Ansa, 25 novembre 2015).
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