(Lorenzo Declich, Europa Quotidiano, 29 maggio). Ad ogni episodio di violenza che si registra in Siria, il regime di Damasco attribuisce la responsabilità a dei generici terroristi di al Qaeda. Le forze leali a Bashar al Assad lanciarono per la prima volta un’accusa del genere il 23 dicembre 2011, quando due autobomba fecero – secondo le autorità – 34 morti a Damasco. La paternità di quell’attentato è tutt’ora incerta.
Il 20 marzo successivo, però, fa la sua comparsa in Siria una sigla nuova: quella della Jabhat al Nusra. Il gruppo rivendica le esplosioni di tre giorni prima, avvenute di fronte a edifici della sicurezza siriana a Damasco, in cui sono morte 27 persone. Il 10 maggio, poi, dopo un nuovo sanguinoso attentato nella capitale (55 vittime) molti osservatori internazionali, incluso il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, hanno ripetuto che l’autore del crimine non poteva che essere al Qaeda.
È proprio vero allora che l’internazionale del terrore è sbarcata in Siria? Non proprio. Intanto perché la genesi della Jabha è tutta interna al paese, più che legata al terrorismo internazionale. In secondo luogo perché le rivendicazioni di stragi come quella del 10 maggio non sono del tutto attendibili. E infine l’escalation di atti terroristici in Siria va letta con molta attenzione, senza cedere a semplificazioni: il rischio è di procedere a conclusioni erronee o affrettate.
La Jabhat al Nusra è una formazione nuova, che si affaccia per la prima volta sulla scena alla fine del gennaio 2011 e che non reclama alcuna affiliazione con altri gruppi di matrice jihadista. Sembra essere integralmente siriana. Gli obiettivi scelti dai terroristi rivelano una dettagliata conoscenza dei presidi governativi: la Jabha colpisce edifici della sicurezza interna e non obiettivi simbolici come è “tradizione” della al Qaeda internazionale.
La matrice siriana è importante perché, presumibilmente, siamo di fronte al primo gruppo siriano qaedista nella storia. Gli esponenti siriani della al Qaeda “storica” non hanno mai agito all’interno della Siria. L’unico gruppo manifestamente legato alla Siria e ad al Qaeda (nasce in Afghanistan nel 1999) è il Jund al Sham, che riunisce terroristi di nazionalità siriana ma anche palestinese e libanese. Non ha mai operato in Siria e sembra essere relegato, con piccoli numeri, al campo profughi palestinese di Ayn al Hilwa, che si trova nei sobborghi della città libanese di Sidone. La genesi “interna” della Jabha è da sottolineare nel momento in cui gli allarmi sul qaedismo in Siria riguardano l’afflusso di terroristi dall’esterno e, in particolar modo, dal vicino Iraq. Ma nessuna organizzazione jihadista irachena ha finora menzionato il gruppo.
Può essere utile tornare un po’ indietro nel tempo per inquadrare meglio questa “novità”. Dopo la stagione della repressione della Fratellanza musulmana, la Siria ha subìto diversi attacchi terroristici. Nel 2006, in giugno, vi fu un attentato nel centro di Damasco da parte di dieci uomini armati, nei pressi della televisione di stato, che lasciò a terra quattro terroristi e due poliziotti: gli altri militanti furono catturati. Fonti ufficiali siriane affermarono che i terroristi erano in possesso di un cd contenente i sermoni di Mahmoud Aghasi, meglio conosciuto come Abu al Qaqa, un predicatore di Aleppo famoso perle sue prediche anti-americane.
La storia, finita male, di Abu al Qaqa ci racconta molto della politica siriana nei confronti del terrorismo jihadista. A partire dall’invasione americana dell’Iraq, Abu al Qaqa non nascondeva di organizzare il training e l’infiltrazione di jihadisti in Iraq attraverso la Siria, con il beneplacito – o il non-intervento – del regime. Più avanti il governo siriano, forse preoccupato per la sicurezza interna, iniziò a prendere provvedimenti contro le infiltrazioni di al Qaeda in Iraq.
A quel punto il ruolo di al Qaqa venne allo scoperto: nel gennaio 2004 viene indicato come «spia» o «informatore siriano » da alcune pubblicazioni qaediste mentre lui scompariva dalla circolazione. Fino a quando, dopo l’attentato del 2006, rilasciò dichiarazioni in cui negava qualsiasi legame con gli attentatori e si dichiarava al fianco del governo contro al Qaeda, americani e israeliani. Nell’ottobre 2007 veniva ucciso a colpi di arma da fuoco ad Aleppo.
È solo uno dei molti casi che dimostrano il rapporto ambiguo e l’attitudine spregiudicata del regime siriano nei confronti del terrorismo di matrice sunnita radicale. In alcuni episodi i funzionari siriani negano la paternità degli attentati. Altre volte si nota un uso politico degli stessi, un’agenda scritta in base alle esigenze di politica interna e internazionale del regime. Il tema si ripropone nei mesi della rivolta quando il governo, nell’ambito di una campagna di propaganda tesa a dimostrare la propria “buona volontà”, libera Abu Mus’ab al Suri, indicato da molti come il teorico del “jihad individuale”, del terrorismo fai-da- te.
È forse in questo quadro sfuggente che va letta la sequenza delle ultime rivendicazioni della Jabha. Il 10 maggio, dopo la strage nella capitale, era circolata su YouTube una rivendicazione a nome del gruppo. Contemporaneamente ne usciva una veicolata dal forum che la Jabha ha finora usato per diffondere i suoi proclami, che tuttavia si riferiva a un altro attentato, quello di Damasco del 5 maggio (5 morti). Tre giorni dopo, il 13 maggio, veniva diffuso un altro comunicato in cui la Jabha, pur non negando la paternità dell’attentato, affermava che il video diffuso e la rivendicazione erano falsi. Nel documento gli jihadisti osservavano che il precedente comunicato era numerato erroneamente (riportava il numero 4 invece dell’8) e che la Jabha non rivendica gli attentati attraverso video.
La cosa va considerata insieme all’analisi della tipologia degli attentati e dell’evolversi del fenomeno qaedista, per constatare un curioso anacronismo: se, nel contesto delle rivolte arabe, le diverse branche al Qaeda, come ad esempio quella yemenita e subsahariana, mostrano di privilegiare una “nuova strategia” che consiste nell’imbracciare i fucili e stabilire il proprio dominio su territori specifici, la Jabha mostra di perseguire la vecchia modalità di attacco – l’attentato – il cui risultato, in termini di ripercussioni sull’opinione pubblica, non giova certo agli insorti siriani.
Il principale messaggio delle rivendicazioni della Jabha, inoltre, è di tipo settario. Tutte richiamano all’unità dei sunniti e si scagliano contro il regime criminale «alawita», laddove l’opposizione siriana, armata e non, non ha mai impostato la propria attività attorno a una contrapposizione del genere.
Oltretutto se la Jabha appare un gruppo poco numeroso e di nuova formazione, la scala degli attentati – nell’ultimo sono stati usati mille chili di esplosivo – non è certamente propria di un’organizzazione alle prime armi.
Più in generale, l’ondata terroristica in Siria va inserita nella cornice della instabilità che il paese vive in questi mesi. È dovuta certamente alla rivolta ma anche alla risposta del regime di Assad, improntata sulla tragica equazione del “tanto peggio tanto meglio”. (Europa Quotidiano, 29 maggio 2012)
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