Cristiani di Siria, fedelissimi della paura

Come un topolino tra due elefanti in lotta – così come mostra una vignetta apparsa sulla stampa araba – la maggioranza dei cristiani di Siria teme di diventare la vittima sacrificale di una “imminente guerra civile” tra gli alawiti, branca minoritaria dello sciismo a cui appartengono i clan al potere a Damasco, e i sunniti, maggioranza della popolazione in rivolta da oltre sei mesi.

Sin dallo scoppio delle prime proteste, i vertici delle chiese cattoliche e ortodosse di Siria hanno a più riprese espresso pubblicamente il loro sostegno alla politica del presidente Bashar al Assad, ripetendo il mantra della propaganda ufficiale: “riforme e dialogo”. Secondo le stime dell’Onu, aggiornate ad agosto, sono circa 2.700 i siriani uccisi dalla repressione governativa, portata avanti dai servizi di sicurezza, dalle milizie lealiste (shabbiha) e da alcuni reparti dell’esercito: tutte forze saldamente controllate da membri degli Assad o di altre famiglie alawite.

I cristiani in Siria rappresentano poco meno del 10% della popolazione, quanto gli alawiti (circa l’11), mentre i tre quarti dei siriani sono sunniti. Nel 1964 e, poi, nel triennio 1979-82, il regime baathista fu scosso da proteste, anche armate, portate avanti dai Fratelli musulmani, movimento islamico sunnita illegale dal 1980.

Gli storici ricordano che il presunto estremismo insito nei sunniti è però in contrasto con secoli di convivenza pacifica tra loro e le altre comunità confessionali. Per la prima volta nella Siria indipendente, il ministro della Difesa è un cristiano: l’estate scorsa il generale Dawud Rajha aveva preso il posto dell’alawita Ali Habib, ufficialmente malato, ma secondo molti epurato (forse ucciso) perché si era opposto all’impiego dei soldati nell’uccisione di civili.

“La nomina di Rajha a capo formale della repressione dimostra che il regime intende farsi scudo dei cristiani”, ha detto Raja A., pseudonimo di uno dei coordinatori sunniti della mobilitazione di Homs, terza città siriana che finora ha pagato il tributo di sangue più alto alla rivolta (circa 850 uccisi).

Proprio Homs – secondo Raja – è un microcosmo di tutta la Siria: “una maggioranza sunnita che circonda un quartiere cristiano e due zone alawite”. Secondo l’attivista intervistato a Beirut, i cristiani sono paralizzati da due paure: quella presente di esser attaccati dagli shabbiha se il regime dovesse dubitare della loro realtà, e quella di esser vittima di un futuro post-Assad in salsa fondamentalista.

Timore espresso martedì dal cardinale libanese maronita Bishara al Rai, patriarca della maggiore chiesa cattolica d’Oriente, che già nelle settimane precedenti aveva definito Assad “un riformatore” a cui concedere altro tempo, un “poverino” a cui “non si possono chiedere miracoli”.”Non vogliamo che gli eventi in corso in Siria portino a una guerra civile sunno-alawita, in cui i cristiani sarebbero inevitabilmente vittime”, aveva detto al Rai.

Michel Kilo, decano degli oppositori siriani in patria, più volte in carcere per le sue opinioni, è cristiano. Come Fayez Sara, un altro noto dissidente. “Ognuno ha diritto ad avere paura, ma perché – si interroga retoricamente Kilo parlando al quotidiano libanese an Nahar – andare persino contro i propri interessi, opporsi alla libertà, alla cittadinanza, al rispetto dei diritti umani? I cristiani vanno comunque rassicurati: l’estremismo non è nel sangue dei siriani”.

Lo stesso Kilo sabato scorso era asceso all’antico monastero di Mar Musa, nel deserto siriano tra Damasco e Homs, vent’anni fa riportato alla vita dal gesuita italiano Padre Paolo Dall’Oglio, che ancora oggi guida la comunità monastica. Kilo si era unito al digiuno di Dall’Oglio, di altri monaci e di alcuni fedeli musulmani anch’essi saliti a Mar Musa nell’ambito di un periodo di jihad (impegno) spirituale per la “riconciliazione in Siria”. (Scritto per Ansa il 28 settembre 2011).