Avevo incontrato Mazen (pseudonimo) a Beirut. Veniva da Homs, via Damasco. Poi era sparito. Mi ha scritto una email due giorni fa. E’ tornato a Homs per stare vicino ai suoi genitori. Gli ho risposto chiedendo notizie, sollecitandolo a scrivere, se poteva, un diario da Homs, personale, da pubblicare sul sito. Silenzio. Poi la sua risposta, che ho soltanto tradotto e che riporto in maniera integrale.
Homs, 24 ottobre 2011. Dopo mezzanotte si sono uditi spari di armi automatiche, boati di colpi di armi pesanti ed esplosioni di proiettili di mortaio nei quartieri di Hamra e Bab Sbaa (posti di blocco di al Farabi e di al Qalaa), di Khalidiye e Bayada (posto di blocco di via Cairo), della Ghuta (posto di blocco di fronte alla Direzione del servizio sanitario). I colpi di armi da fuoco e i boati si sono ripetuti anche all’alba in tutte queste zone.
Gli avevo chiesto come preferiva comunicare a distanza: “Non è facile per me usare Internet qui. Non posso andare in nessun Internet café. La mia connessione 3G non funziona. Nemmeno quella di mia sorella. Non posso richiedere un abbonamento per la linea DSL perché il mio nome è sulla lista nera”.
Riprende la sua cronaca, relativa anche alle località vicine a Homs. Da tutti i checkpoint distribuiti tra Qseir (sud-ovest di Homs, ndt.), e Talbisse (nord, ndt.) hanno aperto il fuoco in maniera indiscriminata in tutte le direzioni. Da Talbisse è giunta voce della liberazione delle tre ragazze arrestate ieri e la cui sparizione aveva scatenato forti proteste da parte dei locali. C’è angoscia invece per la sorte di un giovane di Talbisse, Yusuf Khazzai, 19 anni, arrestato domenica scorsa nei pressi del confine col Libano. Talbisse è ancora senza elettricità ed è teatro di continue operazioni militari. Le linee telefoniche sono interrotte ed è in vigore il coprifuoco, con diversi posti di blocco eretti in città. Proseguono le perquisizioni nelle abitazioni. Non mancano episodi di vandalismo da parte delle forze di sicurezza che rubano tutto quello che possono nelle case private.
Alla mia domanda su quali precauzioni usare per evitare di esser identificato, Mazen mi ha risposto così: “Non mi importa più nulla perché sono ricercato in ogni caso. Questa settimana hanno ucciso due dei miei amici e ne hanno catturato un altro a Damasco. Quasi tutti i miei migliori amici e ragazzi che ho incontrato durante la rivoluzione sono morti ormai. Non ho più niente da perdere”.
e’ come leggere le pagine dispari di un romanzo rivoluzionario di andre’ malraux; e’ la dimensione emotiva della rivoluzione, ma non la rivoluzione nella sua interezza, con tutta la sua violenza. se ci sono, per ammissione degli stessi attivisti siriani (basati a londra, se non erro) centinaia di soldati siriani uccisi, la rivoluzione e’ (sempre piu’) armata. grato per una disamina seria della questione della violenza dei dimostranti-disertori.
anche oggi sirialibano ci ricorda che la rivoluzione non e’ un pranzo di gala. stiamo forse preparando il terreno per la prossima riflessione, ovvero che la rivoluzione e’ un atto di violenza? Vogliamo anche le pagine pari del libro, e le vorremmo tutte insieme, per capire quello che sta succedendo, e capirlo mentre accade. Come cresce il fenomeno della violenza rivoluzionaria? Abbiamo numerosi sequestri di armi sui due lati della frontiera siro-libanese, abbiamo un esercito siriano libero basato in turchia, abbiamo guardie beduine che appaiono misteriosamente al centro della terza piu’ grande citta’ della Siria per difendere un ospedale fino a quando non esauriscono le cartucce, abbiamo “attivisti” che decidono di recarsi a Homs e che scelgono la clandestinita’, abbiamo le sollevazioni di unita’ dell’esercito, e abbiamo l’output, ossia centinaia di soldati siriani uccisi. Eppure la violenza e’ monodirezionale; i sequestri e i posti di blocco appaiono sempre brutali e immotivati (tutti i posti di blocco hanno aperto il fuoco in tutte le direzioni).
Temo che la dicitura “lotta armata” comparira’ su questo sito quando saremo stati tutti educati “nel modo giusto” allo spirito rivoluzionario, emotivamente pronti per ammettere quello che c’e’ gia’ e che non si puo’ ancora ammettere.
Lo abbiamo scritto infatti che ormai si tratta di una guerra civile, tra lealisti e disertori. L’Ondus è ora sì basata a Londra (perché in Siria non la fanno lavorare più) ma prima del 15 marzo l’Ondus era anche basata a Damasco. E comunque continua a tenere in piedi, per quanto possibile, la sua rete di attivisti e ricercatori. Da quando faccio notizie quotidiane sulla Siria, ovvero da più di 5 anni, l’Ondus è stata una delle principali fonti di informazione non solo mia ma di molti altri giornalisti, non solo stranieri ma arabi e siriani. Continuare a ripetere che ora è basata a Londra per delegittimarla si apre il fianco alla solita domanda: se non hai nulla da nascondere, perché costringere le organizzazioni di monitoraggio ad andare all’estero?
Per quanto riguarda le guardie beduine, come ho spiegato in quell’articolo, sono abitanti di un quartiere di homs che difendono l’ospedale che è nel loro quartiere. Cosa devono fare? Siccome sono beduini devono mascherarsi sennò qualcuno come te grida al complotto? L’attivista con cui sono in contatto E’ di Homs, non è che per sport torna a Homs tanto per fare disinformazione.
Vorresti tutte le pagine del libro tutte assieme. Se ce l’avessimo le pubblicheremmo. Oppure pensi che no, stiamo qui a dare solo quello che ci piace? se è così, perché ci segui?
Per ora, a parte i disertori e le loro azioni contro i lealisti, la violenza appare monodirezionale. Perché è così fastidioso ammetterlo? Anche se oggi non dovesse essere più così, per almeno sei mesi (almeno) assistiamo a una repressione di manifestanti pacifici. Poi, certo, ora tutti a dire che comunque le potenze ci sguazzano, che a tutti fa comodo l’instabilità, che tutti sfrutteranno questa situazione… ma chi l’ha creata questa instabilità? Gli abitanti di Daraa? Quelli di Homs? Di Duma? La lotta armata, dei disertori, c’è, ma c’è da poco. Non dal 15 marzo. Chi è responsabile di aver portato la Siria alla guerra civile?
Amici da Rastan-Homs che mi spiegano. Mi limito a riportare, in breve, sintetizzando e semplificando. L’insurrezione, rivolta, rivoluzione, movimenti (come li si vuol definire) non hanno avuto come primo scopo la lotta armata. Solo dopo (dalla fine di maggio circa), a seguito della reazione brutale del regime dal marzo e reiterata in crescendo, si è iniziato ad usare le armi presenti in casa.
Solo dopo ancora la formazione di un esercito di disertori e oppositori combattenti, ma non in tutta la Siria, attenzione. Di per certo ad Homs-Rastan, dintorni, verso Idlib, forse Daraa. Ma non nei sobborghi di Damasco (si ipotizza solo Duma e pochissimi altri facciano eccezione, ma mi si nomina Barze, Saqba, Qabun, Rukneddin, Midan con manifestazioni solo pacifiche).
Violenza chiama violenza, questa è prassi. L’importante è scindere: sebbene la via più giusta sia sempre il rifiuto deciso della violenza, talvolta, e non sono io a dirlo, in determinati contesti la violenza acquista legittimità (vedi Gaza); legittima e applicabile come unico mezzo di difesa e parola, quando al profumo dei fiori si sovrappone lo zolfo.
Grazie per l’ultimo intervento. Stiamo sviluppando concettualmente la violenza rivoluzionaria in Siria. Quando si ha che fare con un regime, occorre far ricorso alla violenza per abbattere il regime. Per questo avevo citato Mao Zedong, la rivoluzione non è un pranzo di gala, è un atto di violenza.
Ma un’insurrezione armata (di disertori o di attivisti armati sul mercato illegale poco importa) è una cosa diversa dalle dimostrazioni pacifiche. La posta in gioco è mantenere o rifondare il sistema, ossia il potere.
Le dichiarazioni di Ghallioun di essere la sola autorità legittima in rappresentanza del popolo siriano, addirittura presso la Lega Araba, è una forzatura comune a tutti i movimenti rivoluzionari. E’ inutile che debba dirvi che i disordini poi sfociati in un conflitto civile sono spesso nati come movimenti rivoluzionari. Guomintang, PCC, Falangisti, Viet Cong, Khmer, Nasseriti, Morabitoun, MPLA, RENAMO, RUF, FIS … credetemi la lista è lunghissima, hanno combattuto per una causa rivoluzionaria, all’interno di un conflitto civile. Non c’è un solo gruppo, frangia, partito che non ritenga la propria causa (e la propria violenza) legittima, e non c’è un solo regime autoritario che, potendolo, non consideri legittimo schiacciare ogni tipo di dissenso che attenti alla tenuta del sistema.
Il regime siriano ha dimostrato di essere più scaltro e solido di quanto inizialmente immaginato da molti osservatori (ricordo che dopo il terzo discorso pubblico di Assad a metà giugno, su queste pagine ci si interrogava se il regime non fosse già sull’orlo del collasso). E’ in corso un conflitto civile diffuso, ove disertori e ribelli (sempre più) armati si rifugiano nei propri villaggi; l’Esercito siriano li assedia. Spento un focolaio, se ne accende un altro altrove. Tipico di tutti i conflitti in cui sono stati coinvolti i partiti e gruppi armati di cui sopra.
Per cortesia, smettiamola di dire che la violenza è monodirezionale. non è così; la rivoluzione non si fa con i petali di rose, per i motivi illustrati da sveto.
Vuoi una pagina pari del romanzo? Link di una manifestazione insurrezionale armata a Hama, a fine luglio 2011:
http://www.youtube.com/watch?v=Sh3M49fmBYI&feature=youtube_gdata_player
I casi di sabotaggio di infrastrutture e gli attacchi contro le forze armate siriane equivalgono ad atti di guerriglia. C’è una parte della popolazione che disapprova questa violenza e sostiene lo status quo, e un’altra parte che la ritiene pienamente legittima.
I casi sono tre: la rivoluzione vince (militarmente, o per implosione del regime), la rivoluzione perde, le due parti negoziano un percorso di pacificazione (Mozambico, Sierra Leone).
Nel caso di conflitto prolungato, le violenze son più efferate, e gli elementi radicali finiscono generalmente per assumere più peso, influendo sulla natura dei regimi rivoluzionari instaurandi. gli esempi di questo tipo sarebbero troppi. Nella rivoluzione siriana ci sono elementi fondamentalisti di vario tipo: ci sono i tradizionalisti “illuminati” come lo sceicco yacoubi, ma anche i salafiti e al-qaeda (si trovano facilmente on line le fatwa di al Zarqawi sulla Siria). Se la rivoluzione prende una piega via via più militare, gli elementi democratici e moderati, quelli che parlano in francese ed inglese a parigi, doha, new york, per intenderci, rischiano di essere scavalcati nei consensi da elementi radicali, meglio radicati (scusate il gioco di parole) sul territorio. Il caso del Kosovo è eclatante. L’opzione militare ha marginalizzato il leader storico Rugova, che riuniva senz’altro la maggior parte dei consensi degli albanesi del Kosovo.
Se le guerre civili si radicalizzano, i Paesi dell’area tendono ad inserirsi nelle pieghe del conflitto, per i propri tornaconti (Turchia, Iran, nazione curda, Israele, Arabia Saudita,14 marzo sicuramente avrebbero svariati interessi in Siria). Spesso le guerre civili sono guerre per procura tra potenze regionali o mondiali. La diversità confessionale ed etnica della Siria rende il Paese ancora più fragile, da questo punto di vista.
Il modo migliore per non negoziare è sostenere di essere legittimi e rappresentare tutto il Paese. Ogni Governo in carica ed ogni movimento rivoluzionario con un largo seguito nella popolazione può sostenere di rappresentare l’intera nazione e dichiarare, al contempo, che il potere dell’altro è illegittimo. E’ un pattern ricorrente delle guerre civili, che non modifica la realtà delle forze in campo. E gli equilibri sono di tipo militare.
Il modo migliore per negoziare è ammettere di rappresentare una parte del Paese, e che senza l’altra, non c’è pacificazione. Questo vale per entrambi gli schieramenti.
Ovviamente, c’è sempre l’opzione del non negoziato, ossia del movimentismo con le armi, della guerriglia, della diserzione da un lato, delle manifestazioni pro-regime, delle torture, degli arresti, e delle pallottole dall’altro. Due Sirie sovrapposte, incompatibili. Il carattere assoluto delle rivoluzioni espone a rischi coloro che si assumono l’onere di condurle, come il giovane di Homs che non ha più nulla da perdere. No, non è un pranzo di gala.
Qualche abbaglio in tutto questo piombo di parole: 1) ghalioun non dice di esser l’unica autorità dell’opposizione. 2) zarqawi o chi per lui è morto da un po’. E comunque… ancora credi ad al Qaida? 3) su queste pagine non abbiamo mai scritto noi di SL che il regime era al collasso. tanto meno a giugno. Vorrei poi che le pagine pari del romanzo, del tuo personale romanzo, che mira ogni giorno – su questo sito – a legittimare la violenza del regime (“è contro una lotta armata”) le producessi dal 15 marzo 2011. Così sì dimostreresti il disegno della violenza dei manifestanti contro il regime. Ribadisco il concetto: fai mille esempi di ALTRI scenari, come se li avessi studiati e vissuti tutti. Sei forse uno scienziato politico che vede il mondo per schemini da applicare ovunque? Forse no, ma il metodo comparativo – secondo me non utile – ti porta fuori strada. Questa è la mia personale opinione. Grazie per ricordarmi, in italiano e in un modo meno diretto, che la Sana e il regime non convincono solo alcuni siriani.
fatwa di al-zawairi, errore da febbre alta. ecco il link.
http://www.youtube.com/watch?v=3YBM-oQwSX8
si, credo che alqaeda sia in grado di agire in Siria, come è stata in grado negli scorsi 8 anni di agire in un altro Paese arabo di 5 lettere, che inizia con I e finisce con Q, confinante con la Siria. Basta far saltare in aria qualche moschea, e comincia la giostra. Sbagli tu a non crederci.
Un’altra pagina interessante è un presunto shabbiha tenuto in un luogo imprecisato a Homs che “confessa” i propri crimini. è stato evidentemente picchiato.
http://www.youtube.com/watch?v=qD_o7H6kCys&feature=grec_index
quanto al resto, si da il caso che si, ho studiato altri scenari, ho visitato alcuni di quei Paesi e parlato con persone che ci hanno vissuto anni, altrimenti non starei qui a citarteli. ma non preoccuparti, non scriverò più su questo sito.
E per la precisione, io mi riferivo alle dichiarazioni del SNC, neonato consiglio dell’opposizione, di cui Ghallioun è presidente. Dal Daily Star del 17 ottobre:
The newly formed opposition body known as the Syrian National Council called on the Arab League to suspend Syria’s membership “until a new regime is born.”
It also appealed for the council to recognize it as the “sole legitimate representative of the Syrian people.”
peccato. comunque tu sei libero di scrivere e di raccontare il tuo vissuto e la tua lunga esperienza. Io sono libero di dire che secondo me, sulla Siria, ti sbagli. Fai come ti pare.
ma il daily star attribuiva quei virgolettati a Ghalioun? A quale fonte? Cmq, il DS ha tutto l’interesse a mandare messaggi intransigenti. E’ di Hariri.