Elias Khury, un caffè con Padre Paolo

Proponiamo di seguito un articolo di Elias Khury sul suo incontro a Beirut con Padre Paolo dall’Oglio nella nostra traduzione.

L’ho incontrato a Beirut. È venuto con l’amica Giselle Khury al caffè “Chase” del quartiere di Ashrafiyye, o il monticello. E dal primo momento ho sentito di essere di fronte all’esperienza della teologia della liberazione che si materializza nella Siria e nel mondo arabo.

Padre Paolo mi ha ricordato i volti dei sacerdoti dai quali ho imparato che Gesù di Nazareth è straniero con gli stranieri, povero con i poveri, viaggiatore sulla terra in cerca di giustizia e libertà.

Ho visto in lui i volti dei miei amici sacerdoti operai che hanno lavorato a Burj Hammud e ad al Nabaa alla fine degli anni Sessanta, che hanno portato la fiammella della giustizia e della rivoluzione, e che sono stati un modello di povertà e devozione.

Ho visto in lui il volto del vescovo libanese George Khodr che reclamava la Palestina con la parola e con l’amore. E l’apparizione del monaco Elias Morcos nel suo monastero che trasformava il corpo in contenitore per lo spirito.

Padre Paolo Dall’Oglio è un monaco gesuita italiano, guida dell’ordine del monastero di Mar Musa al Habashi a Nabek. Ha restaurato l’antico monastero e l’ha trasformato in una cellula di dialogo, facendone una componente di un nuovo tessuto siriano fatto dai giovani che costruiscono con la parola, il coraggio e l’intelligenza il sogno democratico e umanitario all’origine della rivoluzione.

È stato espulso dalla Siria, perché ha detto la verità sulla prepotenza e l’ingiustizia, e ha contribuito a risanare i cuori distrutti dalla repressione.

Parla l’arabo come gli arabi, e parla della Siria come chi parla della propria nazione e racconta delle sue nuove radici che sono nate nella terra di Sham.

Ha detto di essere siriano e io ho sentito nel mio cuore le voci dei ragazzi e delle ragazze venuti al monastero di Mar Musa dove hanno pregato per lo spirito del regista martire Basel Shehadeh, morto a Homs e alla cui famiglia non è stato permesso di fare i funerali nella chiesa di San Cirillo ad al Qasaa a Damasco.

Ho sentito le voci dei giovani che dicevano al monaco italiano di nascita: “Sei un onore per la Siria e per tutta la terra araba, o nobile siriano”.

Ho incontrato Padre Paolo per scoprire un’amicizia che è iniziata tempo fa e che ho visto impressa sul volto di un altro monaco siriano, Nebras Shahid, che lavora a Beirut come assistente all’università gesuita. È lui che mi ha parlato del suo amico monaco Padre Paolo.

Attraverso questi frati e le persone come loro, la voce della nazione si leva al di sopra di quelle delle partigianerie confessionali prodotte dalle orde degli shabbiha e dei mercenari. Essi non si sono limitati a uccidere e a saccheggiare, ma hanno fatto commercio pubblico degli oggetti rubati a Homs: l’hanno chiamato “il mercato sunnita”, secondo l’agenzia Reuters.

L’obiettivo dietro tutto questo è trascinare la Siria in un conflitto confessionale che il regime tirannico avviato verso l’estinzione crede gli consenta di coinvolgere le minoranze nel suo piano criminale.

Il crimine di Padre Paolo che ha portato alla sua espulsione dalla Siria è essere contro il crimine.

Un cinquantenne alto, imponente nella sua umiltà, e sorprendente nel suo identificarsi con le vittime della repressione tra i musulmani, i cristiani e gli alawiti.

Un uomo che invoca la giustizia, la libertà e la pace, che mette in guardia contro gli effetti della violenza bruta commessa dal regime con il suo esercito, i suoi shabbiha e i suoi banditi, perché distrugge il tessuto sociale e politico siriano, e distrugge tutto ciò che contrasta con il potere eterno promesso da Assad padre, e che il figlio mette in atto così da meritare lo stesso appellativo del padre come presidente per l’eternità.

Padre Paolo ha detto che c’è un crimine più grave che si commette in Siria. È stato espulso dal suo Paese perché la sua voce è arrivata in antitesi a quella delle istituzioni religiose ufficiali che si sono inchinate all’oppressione e hanno cospirato con essa.

E qui non mi riferisco a personalità sospette come il vescovo Luca al Khury o suor Marie Agnès che lavorano come megafoni della sicurezza. E finora non sono riuscito a capire: come può la chiesa ortodossa tacere, come può il Patriarca Ignazio Hazim tacere di fronte a un rappresentante del patriarcato di Damasco che ha come unica preoccupazione la difesa degli shabbiha? O come possono le istituzioni cattoliche accettare che una suora continui a lavorare come intermediaria tra gli shabbiha della sicurezza siriana e la chiesa?

La vergogna resa nota dalla posizione ufficiale delle chiese siriane non può essere giustificata semplicemente con la paura. È necessario invece estrapolarne le cause profonde che derivano da un sentimento di inferiorità e di nuova sudditanza create dalla tirannia, che sono più brutali dell’antica sudditanza, perché essa non impone il silenzio solo alle minoranze, ma anche alla maggioranza!

È una vergogna che apre la strada al disastro. Non è minore la turpitudine se tutti i leader spirituali in Siria si appellano alla posizione ufficiale, dai due shaykh, Hassun e al Buti, al Patriarca Lahham, i quali ribadiscono la subordinazione al potere di tutte le istituzioni della società, comprese quelle religiose.

Una vergogna di cui si assumono la responsabilità individui che si sono messi al servizio del Demonio.

Niente giustifica il silenzio, perché non parlare del crimine è diventato complicità in esso, e appellarsi alla paura è diventato risibile nel momento in cui si è generalizzata a causa dei bombardamenti, le uccisioni e gli assassini.

Ho chiesto a Padre Paolo notizie di Homs e delle sue tragedie e ho visto come la sua patria siriana si è manifestata nelle lacrime negli occhi di questo monaco che è diventato “Padre di tutti i siriani”, come ha scritto Muhammad ʻAli al Atassi.

L’esempio che ha dato questo monaco siriano ha spezzato la vergogna che le istituzioni ecclesiastiche ufficiali hanno associato al cristianesimo siriano. Ha rievocato i momenti radiosi della storia moderna della Siria, quando i siriani si riunirono nella diversità dei loro credi nella battaglia nazionalista contro l’occupazione francese.

Padre Paolo ci porta nella spiritualità orientale, nella sua penetrazione profondamente radicata nella società araba e islamica, facendo della sua vita testimonianza e della sua testimonianza vita.

Con lui scopriamo come la parola può diventare corpo e il corpo parola, e attraverso la sua esperienza che unisce l’umiltà all’eroismo facciamo la conoscenza della nuova Siria che nasce dal dolore, dal sangue e dal martirio.