Il titolo dell‘ultimo documentario di Carol Mansour prende spunto da una poesia del poeta inglese Wystan H. Auden che si intitola Refugee Blues e che inizia così:
Say this city has ten million souls,
Some are living in mansions, some are living in holes:
Yet there’s no place for us, my dear, yet there’s no place for us.
Once we had a country and we thought it fair,
Look in the atlas and you’ll find it there:
We cannot go there now, my dear, we cannot go there now.
[…]
We Cannot Go There Now, My Dear racconta le storie dei palestinesi che sono fuggiti dalla Siria per cercare rifugio in Libano e altrove.
È il racconto di un doppio esodo, storie di persone che sono profughi per la seconda volta.
Sono storie nelle quali i ricordi affiorano tra un addio e l’altro, e tutto è trasfigurato da un senso di perdita. Sono storie delle quali si conosce l’inizio, ma non si conosce ancora l’epilogo. Sono storie di vite che vengono ricostruite ogni volta e improvvisate senza posa.
Attraverso i ricordi dei protagonisti, le vicende dei palestinesi arrivati in Siria e il modo in cui si erano integrati nella società del Paese si intrecciano con l’esperienza odierna dei palestinesi in Libano. Emerge così un confronto tra i due Paesi ospitanti, a livello di società e di scelte politiche.
Non è la prima volta che Carol Mansour si occupa di dar voce ai rifugiati in Libano: è dell’anno scorso il suo documentario Not Who We Are, incentrato sulle donne che si ritrovano sole e senza la protezione di un uomo durante la guerra.
We Cannot Go There Now, My Dear sarà proiettato al cinema Sofil di Beirut il 23 ottobre alle ore 20.15 e sarà seguito da una discussione in sala.
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