I vinti di Lattakia nell’ultimo romanzo della scrittrice siriana Sausan Jamil Hassan

(di Giacomo Longhi). Quando passeggio tra gli stand della Fiera del Libro di Beirut arriva sempre, prima o poi, il momento in cui cerco quello di Dar al-Adab. Sarà per l’atmosfera famigliare o per il mitico salottino, circondato dai libri disposti nei piccoli riquadri degli scaffali.

Anche quest’anno ci sono diverse novità interessanti, a cominciare da quelle siriane. Un saggio sul teatro, Inna-nâ mahkûmûn bi ’l-amal (Ci guida la speranza) a cura di Iyad Hassami, che ripercorre, tra l’altro, le opere di Saadallah Wannus, e un romanzo, Al-Nabbâshûn (I rovistatori), di cui ho avuto la fortuna di incontrare l’autrice, Sausan Jamil Hassan, presente in Fiera per autografare copie del libro e incontrare i lettori.

Il titolo mi incuriosisce, non capisco al volo il significato della parola, che, mi spiegano, è a metà strada tra l’arabo dialettale e lo standard. Nabbâshûn è una termine poco lusinghiero per indicare una categoria di persone, quelli che scavano, dissotterrano, riesumano, evidentemente costretti da necessità. Sulla copertina del libro, la figura di un asinello dal dorso carico.

“Ho voluto scrivere un romanzo sugli strati più bassi della società siriana, sulle periferie e i sobborghi”, mi spiega Sausan Jamil Hassan, che avvicino per qualche domanda e per il rituale dell’autografo. “Sulle condizioni dei loro abitanti, i loro sogni e le loro angosce.” 

La storia del romanzo si svolge tra Lattakia e la costa a sud della città, e prende avvio nei primi decenni del secolo scorso. Protagonista è Jumaa, un uomo che per vivere rovista nell’immondizia, accompagnato dal suo asino Abu Tàfish, vero e proprio personaggio del romanzo. Jumaa sogna una casa per sé e Jamila, la ragazza di cui è innamorato fin dall’infanzia e che vorrebbe sposare. Ma i sogni non si realizzano.

Non quello della casa, che Jumaa si illuderà di realizzare con i materiali di fortuna recuperati tra l’immondizia. Né il padre di Jamila accetterà la sua richiesta, avendo in mente per la figlia un matrimonio più conveniente con lo shaykh del quartiere. E si racconta di Jamila, del suo lavoro, prima come fattorina su un carretto trainato da un cavallo, poi come operaia nel Régie, la fabbrica di tabacco di Lattakia, esperienza che la logora fisicamente, e del suo tentativo di fuga dall’opprimente realtà famigliare e lavorativa.

“Come è avvenuta la scelta di questi temi?”, domando all’autrice.

“Quando ho cominciato a scrivere non avevo in mente un tema preciso. Ho cercato di indagare su una condizione di povertà estrema, sulla sua influenza sociale. Nel romanzo parlo anche del ruolo che ha l’educazione sull’individuo e sulla collettività,  della condizione femminile, dei cambiamenti portati dalla modernità e dall’industrializzazione. Non sono abituata a impostare il romanzo a priori, ma man mano, scrivendo, la storia prende forma.”

Originaria di Lattakia, Sausan Jamil Hassan oltre a scrivere esercita la professione di medico.

“È stata la mia professione a permettermi di immedesimarmi nei personaggi del romanzo. Ogni giorno incontro ogni tipo di persone, la maggior parte provengono dalle zone più disagiate dalla città. A loro devo l’ispirazione per le mie storie.”

Oltre a Al-Nabbâshûn, Sausan Jamil Hassan ha pubblicato Harîr al-zalâm (Seta di tenebre) e Alf layla fi layla (Mille notti in una).

Non resta altro, a noi lettori, che leggere e scoprire la sua opera.

Ps: mi permetto una piccola nota finale, per gli appassionati di musalsalât. Il tema dei sobborghi delle città siriane è stato anche affrontato recentemente nella serie tv Al-wilâda min al-khâsira (La nascita dal lombo), ambientata a Damasco, scritta da Samer Radwan e diretta da Rasha Hisham Sharbatji per il Ramadan del 2011. Si può visualizzare gratuitamente a questo link.