(di Lorenzo Trombetta, Europa Quotidiano). La rivolta in Siria incalza e il richiamo della montagna è sempre più assordante per decine di migliaia di alawiti siriani, fedeli al regime di Bashar al Assad per scelta consapevole ma soprattutto per indissolubili legami di sangue.
Chi di questi numerosissimi figli della branca minoritaria dello sciismo ha scelto la solidarieta incondizionata agli al Assad, ha da tempo iniziato una vera e propria battaglia per la sopravvivenza di fronte alla “marea sunnita” che circonda la regione costiera nel nord-ovest. Questa ha per capoluogo il porto di Latakia ma si estende nell’entroterra montagnoso che separa il Mediterraneo dall’ormai insanguinata fertile piana dell’Oronte di Hama e Homs.
Cronologia degli ultimi mesi e mappa della Siria alla mano, è fin troppo facile identificare l’epicentro del conflitto civile ormai in corso attorno alla montagna alawita: i massacri di Hula (Homs) e di Qobeir (Hama) e la presa, ieri, delle forze governative della cittadina di Haffe, 30 km a est di Latakia, sono solo gli ultimi episodi della battaglia combattuta dalle forze fedeli agli al Assad per difendere la propria posizione e assicurarsi la solidità dei propri avamposti, tentando di “ripulire” il territorio dalle enclavi sunnite in rivolta. Può sembrare una strategia offensiva, ma è invece l’inizio dell’arroccamento.
La preparazione a quel “lungo assedio sunnita” che da secoli rappresenta l’incubo massimo nell’immaginario collettivo dei nusayri (il termine storico con cui si indicano gli alawiti). «Hanno cominciato con la distruzione sistematica dei quartieri sunniti di Homs e stanno cercando di fare piazza pulita attorno alla montagna», conferma Nidal Haffawi, pseudomino di uno degli attivisti dei comitati di coordinamento locali di Haffe.
«Se l’intenzione del regime è quella di compiere una pulizia confessionale, ancora non ci sono riusciti», afferma Nidal, raggiunto da Europa via Skype. «Più della metà della popolazione di Haffe (55mila abitanti, per lo più sunniti con una minoranza cristiana) è fuggita a Latakia o altrove, e la cittadina è circondata da località alawite». A meno di 20 km a sud si erge Qurdaha, città natale di Hafez al Assad, padre dell’attuale presidente.
Ma non tutti gli alawiti si prestano a questa strategia. «La gente di Ayn Tine, villaggio su una collina che sovrasta Haffe, ha respinto la richiesta del regime di piazzare l’artiglieria per bombardare la città». Una scelta forse imposta da secoli di convivenza. Gli abitanti di Ayn Tine sanno che l’antico progetto di uno staterello alawita sulle montagne nusairite –invano tentato dai francesi all’inizio del loro mandato (1920-46) – non è realistico nella Siria di domani, quando cioè gli abitanti di Haffe, oggi in fuga o sotto le macerie (si contano finora 54 uccisi e decine di dispersi), si ricorderanno di chi ha partecipato alla distruzione delle loro case.
Una resa dei conti che non seguirà però rigide logiche confessionali. Il ministro degli interni uscente, Muhammad al Shaar, corresponsabile della sanguinosa repressione, è di Haffe. È sunnita, di un clan tradizionalmente ostile al regime e suo padre, lo shaykh Ibrahim Shaar, è stato il mufti della cittadina.
È sunnita anche il generale Abdallah Fahd, originario di Zarqufa, frazione di Haffe, e ora a capo della sicurezza della regione di Hama, dall’altra parte della montagna. «Ha fornito informazioni fondamentali al regime su come condurre le operazioni a Haffe», afferma Nidal.
«L’antico sobborgo di Dfil (l’antica colonia franco-crociata di Deuville) – a due passi da Haffe – è stato invece completamente raso al suolo. Nemmeno una moschea è rimasta in piedi». L’artiglieria pesante e persino gli elicotteri militari hanno martellato la zona per otto giorni, dal 5 giugno. «L’esercito libero – assicura Nidal riferendosi ai ribelli anti-regime – si è ritirato, ma non è stato sconfitto». Un monito per chi spera nella protezione della montagna. (Europa Quotidiano, 14 giugno 2012).
Lascia una risposta