Il ruolo delle tribù nella guerra in Siria

Syria Deeply ha intervistato Haian Dukhan, esperto siriano di legami tribali, autore di diversi studi tra cui “Tribes and the Islamists in Modern Syria: A Short Introduction”. Quella che segue è una sintesi dell’intervista.

11059522_885678574839128_5558225610817405310_o (1)(di Dylan Collins, per Syria Deeply. Traduzione dall’inglese e sintesi di Claudia Avolio).

Può offrirci una panoramica della rete tribale in Siria e del potere che avevano le tribù prima delle rivolte del 2011?

Haian Dukhan: La comunità siriana, soprattutto nelle aree rurali, è composta da tribù. Intendo proprio legami di parentela. E non solo tra gli arabi sunniti: troviamo tribù anche tra i curdi, gli alawiti e i drusi. Per gli alawiti e i drusi, l’identità religiosa è più forte di quella tribale. Mentre per i curdi, l’identità etnica è più forte. Ciò significa che le più forti identità tribali si trovano nella comunità arabe sunnite, in tre zone della Siria in particolare. Nel nord-est c’è la Jazira, che comprende parti di Raqqa, Dayr az Zor e Hasaka. Poi c’è la Badiya, area semidesertica in cui sono incluse zone di Homs, Palmira e Hama. Infine la provincia dello Hawran, la campagna di Daraa, che comprende zone dominate da tre principali tribù siriane: gli Zaubi, gli Hariri e i Masalma.

Quando Hafez al Asad era al potere (1970-2000) capì che gli alawiti di cui faceva parte non potevano governare l’intera Siria da soli, essendo una minoranza attorno al 10%. Così stabilì un’alleanza con le tribù, i cui membri da allora cominciarono a ricoprire ruoli di spicco nell’esercito e nella sicurezza, insieme agli alawiti. I leader tribali in parlamento avevano circa l’8-10% dei seggi. Inoltre le regioni tribali vissero una fase di sviluppo generale, con l’apertura di scuole e ospedali.

Quando Bashar al Asad è salito al potere, ha iniziato a fare affidamento più sugli alawiti che sulle tribù. Nelle zone in cui si trovano le maggiori risorse petrolifere del Paese i lavoratori locali del settore sono stati sostituiti da gente della costa: in pratica rimpiazzati dagli alawiti. Queste regioni sono state colpite dalla siccità e il governo non li ha mai aiutati. La siccità ha spinto quasi 800 mila persone a trasferirsi dalle regioni tribali nei sobborghi delle grandi città. Si sono formate così nuove aree tribali nei sobborghi, come ad al Hajr al Aswad a Damasco e a Baba al Amr a Homs. Sono stati proprio questi gruppi di persone a scendere in strada nei primi giorni delle rivolte del 2011 per protestare contro il governo siriano.

So che in zone come Daraa le dinamiche tribali hanno giocato un ruolo cruciale all’inizio delle rivolte. Può spiegarci come è andata?

Il potere tribale ha rivestito un grande ruolo nel sostenere la rivolta sin dai primi giorni – anche se molti giovani attivisti direbbero che le connessioni tribali non abbiano giocato alcun ruolo. Prendiamo l’esempio del calciatore Abdel Basset Sarut. Proviene dalle campagne di Homs, Bab al Amr, e tra le sue canzoni tutte quelle che parlano della rivolta giocano sul tema della nakhwa (solidarietà, in arabo): cercava così di raggiungere e attivare il ruolo delle tribù, e lo ha fatto rivolgendosi a tribù come i Nuim, i Fawaira, gli Aneza e i Baggara.

Anche a Daraa parte della scintilla che ha portato alla rivoluzione era connessa alle dinamiche tribali. Atif Najib, allora capo della sicurezza politica, ha trattato male una delegazione tribale andata a fargli visita. Con un gesto tribale, si erano tolti le fasce che portavano sul capo, aspettandosi una risposto positiva da parte sua. Invece, ha preso le fasce e le ha gettate nel cestino della spazzatura. Li ha umiliati. Ecco perché in seguito chi protestava ha iniziato ad usare lo slogan al-mawt wa la al-mazala (“la morte e non l’umiliazione”).

La dignità ha radici molto profonde nella comunità tribale e il governo siriano purtroppo l’ha dimenticato. Se Hafez al Asad fosse ancora al potere, non sarebbe mai accaduta una cosa del genere. Bashar e il suo apparato di intelligence non sa come comportarsi con le tribù, a differenza del padre che conosceva le regole del gioco.

Come si è dispiegato il rapporto delle tribù nel corso della crisi? E qual è stato il ruolo delle reti tribali nella guerra civile?

A livello interno, molti dei giovani che si sono riversati nelle strade nei primi giorni della rivolta hanno incoraggiato i loro parenti delle tribù nelle campagne. Ecco perché lì la rivoltà è stata più forte che nelle città. I legami di sangue sono potenti. Nelle numerose interviste che ho fatto nelle campagne, la gente diceva che chiunque sfuggisse ai servizi di sicurezza trovava porte aperte dai loro parenti delle tribù che volevano proteggerli. Ma in grandi città come Damasco, nessuno lo farebbe. Lì i legami tribali non ci sono.

Sul piano regionale, le tribù in Siria hanno legami di sangue con alcune tribù del Golfo arabo, molti hanno passaporti sauditi o kuwaitiani. Ci sono tantissimi giovani provenienti dalle tribù che lavorano nel Golfo e che mandano soldi ai loro parenti in Siria. In certi momenti l’Arabia Saudita ha sostenuto apertamente i leader tribali siriani. Ad esempio, Ahmad al Jarba, un importante leader dell’opposizione siriana della tribù degli Shammar, ha ricevuto il sostegno dell’Arabia Saudita perché la tribù che lì è dominante, gli Aneza, ha legami con gli Shammar. Sono connessi in termini di parentela.

Qual è il rapporto tra le fazioni dei ribelli armati e la rete tribale della Siria?

Molte tribù hanno formato milizie proprie. Contro chi combattono dipende da dove si trovano. Nel nord-est della Siria, per esempio, la tribù degli Shammar ha una milizia che lotta insieme ai curdi contro l’Isis. A Dayr az Zor, la tribù dei Bagharat si è alleata con l’Isis, anche se il suo leader si trova in Turchia e non ha approvato l’alleanza. Diversi leader tribali hanno perso il rispetto dei più giovani, perché molti di loro si sono fatti corrompere dal governo. A Hasaka c’è il fattore curdo, a Dayr az Zor, il fattore petrolio, che è enorme. Nel sud, la Giordania sta giocando sulle dinamiche tribali e ha messo mano sull’insurrezione armata del luogo.

Come hanno interagito le reti tribali con l’Isis?

Quando l’Isis è arrivato in Siria dall’Iraq, c’è stato un grosso conflitto con la Jabhat al Nusra a Hasaka e Dayr az Zor (molte parti di quest’ultima erano controllate dalla Nusra). Ogni gruppo cercava di allearsi con le stesse tribù. Alla fine l’Isis ha avuto la meglio, perché è riuscito a catalizzare molte tribù che vi vedevano il progetto di uno stato che avrebbe provveduto ai servizi come cibo, acqua e altro.

Eppure Isis sta usando anche le maniere forti. Pensiamo al clan degli Sheitat, cui la Nusra aveva dato il controllo di alcuni giacimenti petroliferi per migliorare i rapporti. Ma l’Isis voleva sottrarre alle tribù i giacimenti: le tribù si sono rifiutate e sono rimaste dalla parte della Nusra. Quando la Nusra ha perso quella zona, l’Isis ha punito il clan degli Sheitat uccidendo 700 dei loro uomini e cacciando la gente dai loro villaggi.

In seguito, quando l’Isis ha preso il controllo di vaste zone di Dayr az Zor e Raqqa, hanno istituito la cosiddetta Agenzia per gli affari tribali, con sede a Raqqa, che aveva lo scopo di far sì che tutti i leader tribali dichiarassero la propria fedeltà ad al Baghadi. Molti leader tribali lo hanno fatto per paura e per proteggere la propria gente, memori delle uccisioni del clan degli Sheitat, ma allo stesso tempo ci sono molti giovani nelle tribù che sono influenzati dall’ideologia wahhabita. Da quando Bashar al Asad è presidente, il governo ha trascurato completamente la zona orientale del Paese e l’ideologia islamista ha riempito un vuoto. Nel corso degli anni dall’Arabia Saudita, dove lavorano circa 500-600 mila persone provenienti dall’est della Siria, sono arrivati soldi per costruire moschee e per insegnare l’ideologia salafita.

E poi c’è il terzo e più importante fattore: il governo siriano è il nemico comune. Quando questi giovani delle tribù sono scesi per le strade a manifestare, il governo ha risposto con la violenza e la repressione. Ne ha uccisi molti e in seguito ha bombardato le loro città. Così, quando l’Isis è arrivato, è sembrato un alleato di convenienza contro il governo e le milizie iraniane.

Ma non ritiene che l’alleanza tribale con l’Isis sia anche parte della crescente spaccatura confessionale nella regione?

Sì, è proprio così. Le tribù vedono che l’Iran sostiene un regime confessionale a Damasco e a Baghdad. Devono scegliere il minore tra due o tre mali. Un esempio è quello dei curdi che, una volta preso il controllo di vasta parte del nord del Paese, si sono vendicati delle tribù. Vedendo i curdi bruciare i loro villaggi e far fuggire la gente, molte tribù hanno deciso di avvicinarsi all’Isis perché almeno non gli aveva fatto nulla del genere. Le tribù si trovano incastrate tra i curdi, il governo e l’Isis. Ma per molti l’Isis rappresenta un’alleanza di convenienza per il momento attuale, finché non vedranno che un governo a Damasco tiene conto delle loro necessità.

Quindi la chiave è un cambiamento nel governo di Damasco?

Sì, è molto importante. Gran parte della comunità tribale in Siria teme che il governo siriano riempirà il vuoto – soprattutto ora, con la campagna internazionale contro Isis. Ci sono molti esempi in cui il governo siriano ha riconquistato dei territori controllati dai ribelli e ha compiuto ritorsioni sui civili, arrestando i ragazzi, bombardando la zona incurante dei civili. Le tribù temono che una volta tornato a controllare il Paese, il governo si vendicherà contro di loro.

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