In viaggio con i “qaedisti” anti-Assad

Un tipo di sfiha...(di Lorenzo Trombetta, per Europa Quotidiano). La sfiha di Baalbeck è più rinomata di quella di Beirut. Nei fagottini di pane cotti nell’alta valle della Beqaa la carne non è di manzo ma di capra e alle sette spezie usuali si aggiunge la cannella. In tavola si servono calde, con spicchi di limone e tazze di yogurt freddo. È un pasto solo in apparenza frugale. Mi viene offerto ad Arsal, remota località libanese al confine con la Siria, abitata per lo più da sunniti tradizionalmente ostili al regime di Damasco e circondati da un mare di sciiti seguaci del movimento Hezbollah, che nella vicina Baalbeck ha la sua roccaforte della Beqaa.

Nel salone di casa Hujeiri – si possono nominare perché ad Arsal quasi tutti sono Hujeiri – entrano ed escono giovani. Sono o fratelli o cugini di Wassim e Walid, i due padroni di casa. Wassim, 31 anni, ha studiato ingegneria e usa il computer. Mostra alcuni video di vittime nella regione Homs, epicentro della repressione in Siria e confinante con Arsal. Walid, con un cappello di lana che nel corso della giornata non toglierà mai, è meno pratico di tecnologie ma tra una domanda e l’altra fa capire che invece di armi se ne intende.Arrivo da loro tramite conoscenti di conoscenti. L’ultimo anello della catena è una donna – l’unica donna con cui parlo per tutta la lunga giornata passata nel gelo di Arsal – che mi porta nel salone degli Hujeiri.

Realtà e finzione
«Arsal non è come la descrivono i media», afferma Manal, pseudonimo della donna che non vuole essere citata. «Le tv vengono qui e chiedono se ci sono bambini scalzi che camminano per strada…Ma non ce ne sono. Qui non siamo poveri. Stiamo bene», afferma riferendosi a quando, tra dicembre e gennaio, la stampa libanese accorse in questo remoto punto dell’alta valle della Beqaa a verificare se davvero ci fossero miliziani di al Qaeda. Proprio come aveva detto il ministro degli esteri di Beirut, Adnan Mansur, uomo della coalizione filo-siriana libanese. Le dichiarazioni di Mansur erano giunte alla vigilia del primo dei tre attentati terroristici compiuti a Damasco e Aleppo tra dicembre e febbraio, tutti attribuiti ad al Qaeda o a non meglio identificati estremisti islamici. E Arsal continua a comparire sui dispacci dell’agenzia ufficiale siriana Sana come «rifugio dei terroristi» o «corridoio di miliziani qaedisti».

Sull’altipiano innevato arrivo dopo il pranzo a base di sfiha, yogurt e limone. La neve blocca la strada che taglia i campi di ciliegi. Oltre un primo costone di roccia c’è ancora il Libano, mi dice Wassim. Ma dopo quell’ultimo tratto di altipiano c’è la Siria. Impossibile andare oltre anche per i potenti fuori strada di questi ragazzi di Arsal. Con noi sono venuti anche i “fratelli” e i “cugini” che si erano affollati nel salone. Walid mi indica una casa di pastori sopra al costone di roccia. «Lì d’estate ci ritroviamo la sera per grigliate. Portiamo fiaschi di vino, hashish e della musica. Tiriamo fino all’alba».

In attesa che si palesino i barbuti di al Qaida, ci si maschera da "terroristi" sull'altipianoIl pick-up nel quale sono salito per arrivare sull’altipiano era guidato da Hodeifa, un adolescente in apparenza molto timido. E senza patente: «Guido da quando ho dieci anni», mi dice. Uscendo dal paese, molte moto usate dalla gente del posto non hanno la targa. «Qui ti senti fuori dal mondo. Non ci sono le regole di Beirut», mi dice un amico che ha accettato di accompagnarmi nella Beqaa e che è uno degli anelli della catena di conoscenze grazie alla quale sono ora tra le nevi dell’altopiano (jurd) di Arsal.

Vicino al cambio manuale del pick-up, profumato da un arbre magique con la bandiera a stelle e strisce, Hodeifa ha un M-4, un fucile americano automatico, usato anche dai cecchini. Sono seduto tra l’M-4 e Walid, intento – cappello di lana in testa – a riempire due caricatori di pallottole. Mi chiede se voglio continuare io, ma declino dicendo che non ho fatto il militare. «Neanch’io – ribatte – ma l’ho imparato da piccolo». Walid è figlio di un contrabbandiere sunnita di Arsal e di una sciita di Baalbeck. «A casa si discute spesso di politica», afferma sorridendo. Lui, come suo padre, contrabbanda di tutto: dal combustibile domestico (mazot) al cemento, dalle sigarette alle armi. Poco prima di pranzo Walid e Wassim avevano estratto da sotto il divano un kalashnikov, «di fabbricazione saudita…Per legittima difesa. Non si sa mai». Quanto costa? «Ah, adesso è tutto rincarato», mi aveva risposto Wassim.

Legittima difesa?
Poco dopo, vedendo il mio interesse per le armi, da sotto un altro divano aveva tirato fuori un lungo fucile a pompa. «Questo è per andare a caccia», mi aveva detto. «È molto più pesante. E difficile da portare. Ecco perché costa meno». Salendo sul jurd, Walid rimane in silenzio mentre Hodeifa elogia i pregi dell’M-4 sul sedile. «È più leggero dell’M-16. Più maneggevole». Quanto costa? Interviene Walid: «Dai quattro ai cinque mila dollari». A casa, mentre “fratelli” e “cugini” si sedevano attorno al tavolo in attesa della sfiha, qualcuno – non ricordo chi – mi aveva mostrato una pistola col silenziatore. «Anche quella per legittima difesa?», avevo chiesto con ironia. I silenziatori in Libano non possono esser venduti a privati cittadini, anche se titolari di porto d’armi.

Sul jurd, tra i ciliegi spogli, mi strofino le mani dal freddo. Walid ha già infilato uno dei due caricatori nell’M-4. Guarda nel mirino, ci chiede attenzione, e poi spara una, due e tre raffiche. I “fratelli” e i “cugini” ululano. Altri scherzano e dicono: «Domani sui giornali leggeremo: “Terroristi di al Qaeda uccidono due pecore e abbattono un ciliegio”!». Un altro a Walid: «Fagli vedere chi sono i “terroristi” di Arsal». Un terzo di loro si avvolge una kefia azzurra al volto e si fa immortalare con un fucile. Poi fa finta di prendere in ostaggio un compagno, che si getta a terra in una posa di finta resa. Tutti ridono. Penso che se volessi potrei spacciare quelle foto come prove della presenza di al Qaeda ad Arsal.

«Lo sceicco del terrore»
In mattinata avevo incontrato lo shaykh sunnita Mustafa Hojeiri, da sette anni imam della moschea Dar as Salam di Arsal. Dalla stampa siriana e da quella libanese vicina al regime di Damasco è stato dipinto come lo “sceicco del terrore”, responsabile dell’arruolamento e del passaggio oltre confine di migliaia di miliziani di al Qaeda. Mi accoglie in una fredda stanza vicina alla sala di preghiera. Solo il giorno prima, il sedicente capo di al Qaeda Ayman Zawahiri aveva inneggiato al jihad in Siria contro il regime siriano. Cosa pensa delle parole di Zawahiri? «Zawahiri è un fuorilegge. Non risponde a nessuna regola. Noi invece siamo libanesi e viviamo secondo le regole di questo paese». Ma dell’ipotesi di un progetto qaedista in Siria cosa pensa? «È fuori dalla realtà», risponde secco dietro gli occhiali. «Noi chiediamo che la comunità internazionale aiuti il popolo siriano. Qualcuno deve soccorrerli».

Lo shaykh dice di sostenere la causa dei rivoltosi in Siria raccogliendo vestiti usati, medicine, materassi per i profughi che giungono da oltre confine. I soldati disertori – afferma – qui non si fermano, perché è troppo pericoloso. «Siamo circondati da forze ostili alla rivolta siriana», spiega riferendosi agli Hezbollah che controllano il territorio a valle. Sul passaggio di armi nega: «È illegale e noi ci muoviamo solo all’interno delle regole fissate dallo stato libanese e in territorio libanese». Wassim non voleva che andassi a parlare con lo shaykh Hojeiri perché «manda messaggi sbagliati», mentre Walid mi aveva detto: «Lui sa dove si nascondono i rifugiati».

Su indicazione dell’imam arriviamo in un fabbricato di nuova costruzione. Tre famiglie stipate in due stanze mal riscaldate. Sono qui da tre o quattro mesi. I racconti sono quelli tragici di ogni profugho siriano in fuga dalla repressione. E chiedono più aiuto dai locali. «Riceviamo scatolame e pane ma non basta. E anche il mazot non è sufficiente», dice Abu Ayman, 60 anni, padre di otto figli, di Qseir, cittadina a sud di Homs.

Contrabbandieri di piccolo calibro
I rifugiati confermano che sul jurd non passa nessuno. E non solo a causa della neve. «L’esercito siriano è molto presente dall’altra parte. È impossibile entrare in Libano attraverso l’altipiano» di Arsal. Un giovane di 34 anni di Hama, che dice di aver servito nell’esercito, interviene: «Le armi che entrano in Siria sono poche e leggere. E non è così facile farle entrare perché i servizi di sicurezza controllano bene il confine. Le armi in mano ai disertori sono quelle che già sono nel paese». Per arrivare sull’altipiano c’è un posto di guardia delle “pantere” dell’esercito libanese. Tre soldati infreddoliti si affacciano dalla casetta lungo la strada. «Due sono di Arsal, il terzo viene da fuori», indica Walid.

Chiedo se ci sia bisogno di nascondere l’M-4. Hodeifa e Walid sorridono e, come per farmi contento, appoggiano una giacca sopra il fucile, che rimane comunque ben visibile. Le tre “pantere” non gettano nemmeno lo sguardo dentro l’auto e ci fanno passare. Dietro di noi altre tre auto dei “fratelli” e dei “cugini”. Al ritorno, Walid getta dal finestrino i pacchetti di cartone delle cartucce usate: «Queste le mettiamo in conto ai rivoluzionari (siriani)», dice. Poi sorride e ammette: «Un po’ di armi, se ce le chiedono, gliele mandiamo». Sorrido e in bocca ho ancora il sapore della sfiha di Baalbeck (Europa Quotidiano, 22 febbraio 2012).