Pubblichiamo un’intervista a Michel Kilo, cristiano, uno dei decani degli oppositori siriani, condotta da Sean T. Serioca, pseudonimo di un giornalista italiano freelance rimasto a Damasco per molti mesi sin dall’inizio delle prime proteste e le conseguenti repressioni. L’intervista è apparsa il 30 settembre 2011 su Il Riformista (leggi qui il PDF).
“Non posso parlare in nome dei cristiani, perché non sono mai stato cristiano e di certo non lo divento ora,” questa la risposta di Michel Kilo, intellettuale dissidente di estrazione cristiana, quando gli chiedo di spiegarmi la percezione cristiana degli eventi in corso.
Come giornalista, Kilo ha scritto per quotidiani libanesi di orientamento politico opposto, filo-siriano ed anti-siriano, come An-Nahar e As-Safir. Il suo primo arresto, al seguito del quale emigrò in Francia, risale all’inizio degli anni ’80. Tornato in Siria nel ’91, é stato uno dei promotori della Dichiarazione di Damasco del 2005, pietra miliare delle aspirazioni dell’opposizione riformista. Nel 2006 é stato incarcerato e condannato l’anno successivo a tre anni di detenzione, per aver firmato la Dichiarazione di Beirut e Damasco, nella quale veniva chiesto al regime siriano di riconoscere la sovranità nazionale del Libano. In libertà dal 2009, Kilo ha proseguito il suo impegno politico, culminato nell’organizzazione del primo storico incontro di dissidenti tollerato dal regime siriano, tenutosi all’Hotel Semiramis di Damasco il 27 giugno 2011.
La popolazione siriana é a maggioranza musulmana sunnita (74%), ma una delle minoranze più consistenti é proprio quella cristiana (8%). I cristiani siriani sono rimasti per lo più marginali o contrari alle proteste che hanno attraversato la Siria negli ultimi sei mesi, temendo l’alterazione di uno status quo che garantisce loro delle posizioni privilegiate e la possibile deriva fondamentalista sunnita. Qual’é la sua opinione sulle paure dei cristiani?
I cristiani che hanno paura sono dei somari. Non vi é alcuna ragione di temere il sopravvento dei fondamentalisti, non essendosi visto nessuno slogan islamista durante le proteste. Mi sento di escludere categoricamente il pericolo di un conflitto religioso. Sarebbe ora che gli analisti occidentali la smettessero di adoperare questi preconcetti orientalisti [NdR: le classificazioni semplicistiche delle società mediorientali in “blocchi” confessionali, senza distinguere un contesto dall’altro]! Cristiani e musulmani hanno sempre vissuto insieme pacificamente in Siria, persino durante quei 200 anni successivi alla conquista islamica, quando i primi rappresentavano ancora la maggioranza.
Quindi la migliore garanzia contro un conflitto religioso sarebbe la storia siriana. Mi sembra promettente che tale convinzione venga condivisa da dissidenti di origini etniche e tendenze politiche completamente diverse, come il giornalista curdo Kamal Sheikho e l’islamista di Dar’a Mohammad Ammar. Che cosa risponde a coloro che individuano invece nelle divisioni dell’opposizione un segnale di debolezza?
L’opposizione non necessita di una struttura organizzativa unificata, é sufficiente che si condividano i medesimi obiettivi, mezzi e fondamenti…Non vogliamo combattere un sistema a partito unico sostituendolo con un altro dello stesso genere! L’opposizione ha dato prova di essere effettivamente unita, quando tutti i suoi fronti si sono rifiutati di partecipare agli incontri del Dialogo Nazionale promosso dal governo agli inizi di luglio.
Uno dei network più attivi tra i manifestanti, i Comitati Locali di Coordinamento, ha boicottato la vostra iniziativa del 27 giugno, giudicandola improntata al dialogo con il regime. Esiste una simile frattura tra “strade” e fautori del dialogo?
In questo momento il dialogo non é funzionale alla causa rivoluzionaria: lo sarebbe solo se riuscisse ad indebolire il regime e garantire la libertà del popolo. Detto ciò, poiché rimango contrario sia all’intervento militare della comunità internazionale che al passaggio ad una resistenza armata, considero essenziale che le porte del dialogo rimangano aperte, anche se parlare di riforme con questo regime sembra insensato.
Come giudica invece le mosse delle comunità di espatriati siriani, l’ultima delle quali é la formazione del Consiglio nazionale siriano a Istanbul?
La reputo un’iniziativa completamente insensata: prima di tutto bisogna rovesciare il regime, poi si parlerà di consigli transitori! Formare un consiglio transitorio sarà un lavoro alquanto veloce dopo la caduta del regime.
“L’unità dei mezzi” adottati dall’opposizione nella sua lotta contro il regime, di cui lei parla, si trova ora di fronte a un esame fondamentale, moltiplicandosi gli appelli alla resistenza armata. Per quanto ritiene che la rivolta possa rimanere ancora pacifica?
Entro massimo due mesi, la comunità internazionale deciderà di intervenire militarmente o le manifestazioni perderanno la loro natura pacifica.
Dal momento che deplora ogni risoluzione violenta, come pensa si possa riuscire a rovesciare Assad? Confida nell’aumento delle defezioni militari?
Sì, confido nelle defezioni militari, che già hanno registrato l’abbandono di tre generali, uno di Homs e due dell’Houran. Ne sono al corrente da fonti fidate ministeriali. L’esercito non ha del resto alcun interesse a rimanere indissolubilmente legato al regime: in quanto istituzione, gli conviene garantirsi un futuro nella Siria post-Ba’thista. —
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