“Per un detenuto la libertà non è un concetto astratto, ma presenza reale: può essere il mare, il caffè che non si può bere in carcere, un fiore, un bambino”.
Faek Hweijeh sembra comporre poesie ogni volta che mette in fila le parole, anche quando risponde alle domande di un’intervista.
Adonis lo chiama “poeta”, ma lui si schermisce dicendo di essere un avvocato.
È originario di Salamiyya in provincia di Hama, ma adesso vive a Damasco. Nel 1982, a ventidue anni, è stato arrestato, torturato e detenuto per nove anni nelle carceri di Hafez al Asad e da allora si batte per i diritti dei detenuti politici.
Il 1 febbraio ha partecipato a Roma alla manifestazione “Ritratti di Poesia” che si è svolta nella splendida cornice del Tempio di Adriano. Ha dialogato con la sua traduttrice Elena Chiti che ha permesso al pubblico italiano di conoscere la sua storia e apprezzare le sue poesie ancora inedite fuori dalla Siria.
Faek Hweijeh racconta della sua esperienza in prigione, della convivenza forzata in un dormitorio striminzito con decine di altri detenuti. Racconta anche della gioia che hanno provato quando hanno guadagnato un po’ di spazio, dopo che dieci persone sono state portate via. Ma di come l’angoscia ha preso subito il sopravvento, perché non conoscevano il destino dei dieci compagni: “E per qualche ora siamo rimasti tutti immobili, senza dire una parola”.
In carcere non aveva carta e penna e così appuntava i suoi versi sulla carta delle sigarette, tratteggiandoli con la cenere, oppure incidendoli con un oggetto appuntito. Nei primi tempi, però, quando anche le sigarette erano proibite in cella, doveva mandare tutto a memoria.
Quando Faek Hweijeh legge i suoi versi, ed è la prima volta in pubblico, l’emozione traspare dal suo sorriso timido e contagia i presenti.
Racconta il poeta che Sata’tīn (Verrai), il suo inno dolente alla libertà che tarda ad arrivare, piaceva ai suoi compagni in carcere perché dà voce alle speranze nel cuore di ogni detenuto. E quando l’editore ha poi stampato la raccolta delle sue poesie scritte in prigione, ha deciso di intitolare così anche il libro e gli ha cambiato il titolo.
Adesso che sono passati quasi due anni da quando i siriani hanno cominciato a invocare la libertà, Sata’tīn si carica inevitabilmente di nuovi significati:
“[…] E così aspettiamo
aspettiamo
aspettiamo.
Hai il diritto di farti desiderare
e noi abbiamo il diritto
di non dubitare:
non puoi non venire.
Verrai.”
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Una selezione di poesie di Faek Hweijeh tradotte da Elena Chiti sarà pubblicata prossimamente sul numero 15 della rivista Smerilliana.
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