Le lezioni di Qusayr دروس القصير

La conquista da parte del fronte filo-Asad della cittadina di Qusayr spinge attivisti e ribelli a serie riflessioni. Ora per le cancellerie occidentali è più facile giustificare l’immobilismo. La battaglia è vinta, la guerra no. E in parte si espande al Libano. [carte dell’autore]

(di Lorenzo Trombetta per Limesonline). Chi controlla Qusayr, a sud-ovest di Homs e a ridosso del confine col Libano,controlla il centro della Siria. E chi controlla il centro della Siria controlla tutto il paese. Lo ha detto il 5 giugno 2013 il generale siriano, fedele al presidente Bashar al Assad, Yahya Sulayman, citato dalla tv iraniana in arabo al Mayadin.

Sulayman è in pensione e si presenta sugli schermi in abiti civili, quindi non parla a nome dell’esercito. Ma il fatto che possa parlare liberamente da Damasco – col monte Qasiyun alle spalle – indica che il regime ha interesse a far passare questo messaggio: per gli Asad la presa di Qusayr, ottenuta grazie all’intervento determinante delle milizie degli Hezbollah libanesi, è una vittoria importante, forse decisiva.

Perché è importante Qusayr? Le sorti del conflitto siriano sono sempre più concentrate lungo l’asse sud-nord Daraa-Aleppo, passando per Damasco, Homs e la piana dell’Oronte nei pressi di Hama. A metà strada di questo asse c’è Homs e il suo entroterra: cardine tra la regione costiera (per lo più fedele agli Asad con l’esclusione di alcune enclavi sunnite) e l’autostrada per Damasco, ma anche importante polo industriale in cui si concentrano le raffinerie di idrocarburi e passano le condotte di gas e greggio dirette ai terminali del Mediterraneo.

Come si è scritto, Qusayr è stato a lungo il corridoio per le armi iraniane destinate a Hezbollah, che ha nella valle della Beqaa la sua retrovia per condurre le operazioni contro il nemico storico, Israele. Ma la piana di Qusayr, attraversata dall’Oronte, è anche da secoli luogo privilegiato di passaggio di uomini e merci tra la Beqaa, Homs e la regione costiera siriana. Si passa da lì per aggirare la barriera geografica costituita dall’altopiano dell’Akkar. Gran parte dell’Akkar è inoltre ostile agli Hezbollah, che hanno invece nella regione dello Hermel (alta valle della Beqaa) una loro piazzaforte. Nel contesto del conflitto siriano, dove le questioni economica, sociale, confessionale e politica si sovrappongono, Qusayr appare davvero il centro di equilibri cruciali.

 La situazione sul terreno. Mentre si scrive (6 giugno 2013), la cittadina di Qusayr è per due terzi in mano alle forze filo-Asad. La parte centrale, meridionale e orientale è occupata dai soldati fedeli al raìs di Damasco. Gli Hezbollah rimangono invece sapientemente fuori dal centro abitato e, soprattutto, lontani dalle telecamere dei media accreditati con “l’esercito governativo”. Lo spot del 5 giugno, quando è stata annunciata la caduta della roccaforte ribelle, è stato l’immagine – diffusa in esclusiva da al Manar, la tv degli Hezbollah – di un soldato di Asad che sale in cima alla Torre dell’Orologio nel centro della cittadina e issa il tricolore siriano, ormai identificato col regime.

I quartieri centrali meridionali e orientali sono per lo più rasi al suolo. “Ora la città è sicura”, affermavano il 5 giugno i soldati di Asad intervistati dalla tv di Stato. Attorno a loro desolazione e macerie, quasi peggio di Bab Amro, quartiere ribelle di Homs assediato e distrutto nel febbraio 2012 dalle forze del regime. I quartieri settentrionali rimangono – non si sa ancora per quanto tempo – in mano a un manipolo di ribelli. Si parla di non oltre 150 irriducibili rimasti a proteggere la ritirata di oltre un migliaio di ultimi miliziani e di altrettanti feriti fino al 4 giugno ospitati in diversi ospedali da campo, oltre a numerosi civili che non erano riusciti a fuggire nelle settimane scorse.

La ritirata da Qusayr ha preso la via obbligata verso Dbaa e Buwayda, due cittadine poste a nord-est del centro abitato. Dbaa è prossima all’aeroporto militare, ripreso dai lealisti. Buwayda è sotto il fuoco dei bombardamenti dell’aviazione di Asad sin dai primi minuti della presa di Qusayr. Chi è fuggito da Qusayr è andato in contro all’abbraccio delle forze del regime e si trova in un vicolo cieco. Come topi in trappola, i superstiti della battaglia, moltissimi accampati lungo le strade e sotto gli alberi, possono solo sperare di non esser colpiti dall’alto e di esser risparmiati da chi viene da est, dall’autostrada Damasco-Homs.

Le lezioni di Qusayr. Gli attivisti e i ribelli di Qusayr, in larga parte originari della cittadina e sostenuti nelle ultime settimane da miliziani provenienti da Aleppo, Dayr az Zor e dal vicino Libano, in queste ore si interrogano sul perché della cocente sconfitta. In un documento che forse rimarrà negli annali della rivolta siriana, il Comitato locale di coordinamento di Qusayr ha pubblicato la sera del 5 giugno un testo intitolato Le lezioni di Qusayr.

Accanto alla scontata denuncia dell’intervento degli Hezbollah a fianco delle forze del regime siriano, il testo sottolinea le responsabilità 1) dell’Occidente, 2) della Coalizione nazionale siriana, principale gruppo delle opposizioni riconosciuto da diversi attori occidentali e dai paesi arabi del Golfo, 3) di alcuni comandanti militari o sedicenti tali del fronte dei ribelli.

Le riflessioni degli sconfitti di Qusayr mettono dunque in luce ancora una volta le profonde divisioni 1) tra chi è dentro e combatte sul terreno e chi è fuori e tenta di fare politica a distanza; 2) tra chi resiste sulla propria terra e chi in Europa, in Nordamerica e altrove afferma di sostenere la rivolta siriana ma di fatto non può (o non vuole) nemmeno assicurare l’ingresso di operatori della Croce Rossa per soccorrere i civili feriti; 3) tra le diverse anime della rivolta armata.

Gli attivisti di Qusayr scrivono ad esempio: 1) “la Coalizione e le altre entità politiche non rappresentano la rivoluzione”; 2) “non bisogna affidarsi all’Occidente perché, come ci insegna la Storia, non serve la nostra causa. Con ciò non vogliamo isolarci dal mondo ma solo ricordare che quel che veramente importa è quel che avviene in modo concreto sul terreno”; 3) “alcuni comandanti militari pensano a ricevere armi e munizioni ma non intervengono. Pensano alla spartizione degli aiuti ma non sono venuti a sostenerci”. In particolare si contesta la “sproporzione nell’invio di aiuti finanziari” ai ribelli di Hama rispetto a quelli impegnati nel fronte di Homs.

Ma la battaglia di Qusayr fornisce anche altre indicazioni, che contrastano con l’immagine di un fronte ribelle sempre più diviso al suo interno. Come già accennato, alla difesa di Qusayr hanno partecipato diverse brigate di insorti provenienti dall’est siriano e dal nord. Pochi giorni prima l’annuncio della caduta della cittadina, fonti locali ben informate parlavano di un blocco di circa 10 mila uomini composto non solo da locali ma anche da uomini del Consiglio militare di Aleppo comandato dal colonnello – disertore dell’ex esercito governativo – Abdel Jabbar Ukaydi; della Brigata Tawhid anch’essa di Aleppo e diretta da Abdel Qader Saleh; e dell’Esercito al ‘Usra di Dayr az Zawr comandato da Abu ‘Ali Shu’ayti.

Solo tre giorni prima della caduta di Qusayr, il colonnello Ukaydi era arrivato nel centro cittadino. Un video amatoriale lo aveva ripreso mentre veniva intervistato da un giornalista locale a pochi passi dalla piazza della Torre dell’Orologio.”O la vittoria o la morte!”, aveva detto Ukaidi. “Dovranno passare sui nostri cadaveri per entrare a Qusayr. Non esiste la ritirata. Indietro non si torna!”, aveva aggiunto.

La sua presenza lì, come quella di migliaia di altri combattenti provenienti dal nord e dall’est della Siria, dimostra che Qusayr non era assediata dai quattro lati. Alla domanda se avesse trovato difficoltà nel raggiungere Qusayr, al Ukaydi aveva risposto senza rispondere veramente: “Certo, non è stato facile ma quando c’è la volontà e la tenacia…”.

È in effetti confermato anche da fonti vicine a Hezbollah citate dall’agenzia Reuters che le forze filo-Asad sono riuscite a penetrare a Qusayr nella notte tra il 4 e il 5 giugno attraverso uno dei corridoi lasciati in precedenza aperti per dare la possibilità ai civili di fuggire. Com’è possibile, però, che migliaia di miliziani di Aleppo e Dayr az Zawr siano potuti giungere ed entrare a Qusayr, passando territori ancora fortemente contesi e teatro di battaglia? È accertato che nelle prime liste di “martiri” caduti nell’ultima battaglia per la difesa della città figurano numerosi miliziani provenienti dai villaggi attorno a Dayr az Zawr e Aleppo.

A questo si aggiunge che in diversi proclami diffusi prima e dopo la sconfitta di Qusayr, ribelli e attivisti siriani di varie regioni hanno più volte ricordato la mutua solidarietà esistente tra il fronte di Homs e quelli della Ghuta (la cintura attorno a Damasco in larga parte controllata dagli insorti), della cittadina costiera di Baniyas, di Aleppo, di Dayr az Zawr e di Daraa. Se si uniscono con un tratto i punti di queste località, si disegna grosso modo la Siria a maggioranza sunnita.

Sul piano politico-diplomatico regionale, la caduta di Qusayr dimostra in modo più che evidente che il fronte filo-Asad ha le armi più affilate e che può far valere le proprie ragioni in sede internazionale. In tal senso la conferenza di Ginevra, tanto pubblicizzata dai suoi promotori, gli Stati Uniti e la Russia, sembra avere l’unico obiettivo di fornire altro tempo ad Asad perché, vincendo le battaglie sul campo, possa riconquistare credito politico.

In questo quadro, alcune cancellerie europee – tra cui l’Italia – paiono ormai aver abbandonato la retorica aggressiva contro il presidente siriano, che considerano un partner della “soluzione politica”, almeno fino alla “formazione di un governo di coalizione” che traghetti il paese nel “processo di transizione”.

Così parla il ministro degli esteri italiano Emma Bonino, in un’intervista apparsa il 6 giugno sulla stampa italiana: due sono i punti “ineludibili” per la conferenza di pace sulla Siria ‘Ginevra 2′: il processo di transizione attraverso un governo di coalizione”; e “che non si può pretendere, come fa una parte dell’opposizione [la Coalizione nazionale, già riconosciuta dall’Italia, ndr] , di condizionare la tenuta della conferenza alle dimissioni del presidente Bashar al Assad. La sua uscita di scena – ha concluso Bonino – è l’oggetto del negoziato, non la precondizione”.

Da un punto di vista strategico, la presa di Qusayr determina la riapertura del corridoio regione costiera-Homs-valle della Beqaa. E se la costa si riallaccia alla valle orientale libanese, la “bonifica” di Homs può ora procedere a passi più spediti. Già da tempo, le forze lealiste tentano di avere ragione delle sacche di resistenza che si trovano nella parte centro-settentrionale di Homs.

Certo, a Qusayr il regime ha vinto una battaglia. Ma non la guerra. Questa è ancora lunga e le sue sorti passeranno inevitabilmente per altri scenari cruciali. Da Aleppo giungono notizie di un imminente attacco lealista – anche in quel caso si parla di qualche migliaio di Hezbollah giunti a sostenere la controffensiva – e le battaglie proseguono a Daraa, attorno a Damasco e sul Golan.

Da più parti e da tempo si sottolineano i rischi di una tracimazione del conflitto in Libano. A livello locale e con modalità ancora circoscritte ciò è già avvenuto. Ne è un esempio l’inedito scontro a fuoco, avvenuto due giorni prima la caduta di Qusayr, tra Hezbollah e ribelli siriani ad Ayn al Jawze, tra l’altipiano di Nahle e la località siriana di Tafila.

Tafila è posta sul versante orientale dell’Antilibano ed è stato per settimane il punto di raccolta degli insorti della Siria meridionale diretti a Qusayr. Tafila non è nemmeno distante da Aarsal, l’enclave sunnita nella Beqaa confinante con la Siria che ha servito sin dal 2012 da corridoio di uomini e merci diretti a sostenere la rivolta anti-Asad. Lo scontro di Ayn al Jawze per ora rimane un episodio isolato e forse solo legato alla battaglia di Qusayr. Ma non è escluso che dopo la sconfitta gli insorti passino al contrattacco tentando di attaccare uno dei fianchi di Hezbollah.