Parla Mariam Mamarbachi, scrittrice e regista aleppina, figlia di una famiglia di commercianti del Bilad ash-Sham. La Mamarbashi è anche moglie di Michel Seurat, lo studioso francese rapito a Beirut nel 1986 e morto nelle celle dell’allora neonato movimento sciita Hezbollah. Da allora la donna, già emigrata con la famiglia nella capitale libanese nel 1965 poco dopo l’arrivo al potere del Baath, ha deciso di trasferirsi e di vivere a Parigi.
Qui un suo intervento apparso il 18 settembre su Le Monde a proposito della posizione delle autorità cristiane in merito alla questione siriana. Il testo è apparso tradotto in italiano su Finesettimana.org
In un’intervista rilasciata a France24 (si veda il filmato di seguito) dopo la pubblicazione del suo commento, la Mamarbashi ha comunque ammesso che fino a qualche mese fa anche lei sosteneva in un certo senso Bashar al Asad ma che la sanguinosa repressione l’ha indotta a rompere gli indugi e soprattutto le paure che la legavano all’idea – tanto diffusa nel mondo arabo islamico e non certo solo tra i cristiani – che “meglio la dittatura piuttosto che il caos”.
Faccio parte della comunità siriaca, la più minoritaria delle minoranze, quella fuggita dall’Anatolia al tempo dei massacri degli Armeni nel 1915. Sono la discendente di un’illustre famiglia di coltivatori di cotone, che, un po’ come si semina il grano, ha costruito chiese lungo tutta la strada che porta a Gerusalemme. I miei cassetti sono pieni di medaglie dell’ordine del Santo Sepolcro e di altre decorazioni.
Un tempo, in occasione delle celebrazioni delle feste religiose, vescovi e arcivescovi, con le loro vesti più belle, venivano a benedire la casa. Allora mi inchinavo davanti a loro per implorare la loro clemenza. Oggi non mi inchinerei più, eminenze, non vi bacerei più la mano. L’ametista al vostro dito rischierebbe di scorticarmi le labbra.
Il 22 agosto mi sono recata a Damasco per incontrare Michel Kilo, l’oppositore sfrontato dalla lingua sciolta, graffiante come carta vetrata. Nel 2000, con alcuni altri, aveva colto l’occasione della nomina improvvisa di Bachar Al-Assad, della sua inesperienza del potere per forzargli la mano, anzi storcergli il braccio, per costringerlo ad avviare le riforme che i siriani aspettavano da tanto tempo. Sappiamo com’è andata a finire.
Quell’anno, la “primavera di Damasco” è nata morta. Michel è finito per la seconda o la terza volta, non ricordo, in un carcere alla periferia di Damasco. Wadia, sua moglie, mi abbraccia, poi si ritrae come per guardarmi meglio con quella complicità che hanno tra loro le donne i cui mariti hanno conosciuto la prigione. Ma lei suo marito lo ha ritrovato sano e salvo.La tolgo dall’imbarazzo con apparente leggerezza. “Maktoub”.
“Ahlan, ahlan… sitt Mary.” La voce calda di Michel. Compare dietro di lei, come quelli che escono vittoriosi dalle peggiori sevizie. Quelli che il potere non è riuscito a schiacciare. Benché i suoi occhi siano tristi per la gravità della situazione, il suo sguardo è ancora più vivace che nel mio ricordo. “Allora, vieni a prendere il polso della situazione del paese?” “Sì, possiamo dire così.” “Li libereremo.” “Quanto tempo credi che ci vorrà?” Alza gli occhi al cielo.
Ricordiamo “Abul’miche” (Michel Seurat, mio marito, morto nelle prigioni di Hezbollah), le sue interminabili domande sul regime di Hafez Al-Assad e l’accanimento con il quale redigeva De la tyrannie aujourd’hui. Enumeriamo anche le atrocità commesse durante le ultime quarantotto ore. Poi attacco.
Dei cristiani hanno appena inaugurato due discoteche ad Aleppo. Ho vergogna per loro. Non sono cristiani. Non so più che cosa sono, che cosa fanno. Ballano, mi dice Michel, e l’odore della morte si diffonde fino alle case che piangono i loro martiri. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di loro è il Regno dei cieli.
Che cosa ne fanno di queste parole di Gesù, riportate nel vangelo di Matteo? Nessuna diocesi, vescovato, arcivescovato o patriarcato si è espresso sulle esazioni. Non arriverò a suggerire a tutti quei ministri del culto di salire in cima ai campanili per urlare la loro disapprovazione o di far suonare la campana a morto di fronte all’interminabile successione di bare di coloro che sono caduti per aver reclamato la libertà.
E che dire delle belle parole del pastore protestante intervistato dalla BBC mentre i cannoni delle fregate ormeggiate sulla costa bombardavano Lattaquié? Non ha né visto né sentito niente. Il suo atteggiamento, come quello delle Chiese di Oriente, mi richiama le tre scimmie, spalle ricurve, ginocchia alzate come per proteggersi, le mani su occhi, bocca e orecchie. “Non vedo”, “Non sento”, “non parlo”.
Posso ammettere che noi cristiani si possa avere paura. Paura del passato, che anticipa un futuro incerto. L’islamismo? Ne sono stata una delle prime vittime. Sino a ieri, aderivo alla linea per la sicurezza dei dirigenti alawiti che sostenevano con forza che, senza la loro protezione, Dio sa che cosa ci sarebbe potuto accadere.
Che cosa siamo diventati? Animali in gabbia, isolati nel recinto delle chiese che ci separano da coloro con cui avevamo sempre vissuto. Da quarant’anni, che cos’hanno fatto, se non assoggettarci? Siamo diventati i servi di coloro che, per regnare, ordinano “Shoot to kill” (Sparate per uccidere). Grazie a Dio, certi giovani si affrancano da queste chiese per aderire alla Chiesa della Rete, chiesa ecumenica e multiconfessionale.
Ancora ieri, Myriam H. affiggeva sui muri del suo quartiere un appello ai cristiani della porta San Tommaso perché partecipino alla manifestazione di venerdì prevista nel quartiere musulmano di Midane. Da allora, la ragazza è scomparsa. In un articolo pubblicato il 12 agosto sul quotidiano libanese As-Safir, Michel Kilo invita le Chiese della Siria, di qualunque obbedienza, a prendere coscienza della loro deriva.
Altrimenti lui, Michel Kilo, insieme agli altri cristiani laici, porrà la prima pietra. E su questa pietra edificheranno la loro Chiesa. Una Chiesa civile per ricondurre i seguaci di Gesù alla ragione. Parigi, 12 settembre. Certo, è stato necessario il detonatore Michel Kilo perché due patriarchi si esprimessero sulle esazioni subite dai siriani.
Il primo cerca di salvare capra e cavoli chiedendo al presidente “di non rimanere sordo – e muto? – di fronte alle sofferenze del suo popolo”. Gli propone perfino di lavorare, mano nella mano, per applicare le riforme già avviate, incriminando l’ingerenza degli arabi e degli occidentali, ingerenza che per il popolo siriano tarda ad arrivare.
Questo è quanto ha detto il patriarca greco cattolico, Sua Beatitudine Gregorio III Laham, patriarca non solo di Antiochia e di tutto l’Oriente, ma anche di Alessandria e di Gerusalemme.
Quanto al maronita, sono rimasta a bocca aperta. Così si esprimeva a Parigi a proposito di Bachar Al-Assad: “Poverino, non può fare miracoli.” La moltiplicazione dei morti mi fa pensare ad un’altra moltiplicazione, quella del pane. Sua Eminenza offre una lezione d’Oriente ai prelati francesi, precisando loro che “in Oriente, i problemi dell’Oriente devono essere risolti con la mentalità dell’Oriente”.
Ma qual è allora la mentalità dell’Oriente, Sua Eminenza? Quella dei despoti, descritta nei racconti dei viaggiatori, dove il gran visir si diletta davanti ai supplizi dell’impalamento e dello scorticamento, punizioni, sembra, tipicamente orientali? Temo anche che il patriarca maronita pensi segretamente ciò che già spesso ho sentito affermare apertamente a proposito dei musulmani. “Non sono capaci di democrazia”. “Sono animali, solo la forza li può amministrare.”
Che il patriarca maronita la smetta di comportarsi come un innesto che fatica ad attecchire e che la smetta di far finta di credere che la sua salvezza sia legata alle alleanze su sabbie mobili. La Storia seguirà il suo corso, che lo si voglia o no, noi saremo forse passati al vaglio. Assistiamo senza dubbio in tempo reale alla nostra dislocazione. Ma, di grazia, Eminenze, almeno quelle di voi che non si sono ancora espresse – Greci e Armeni ortodossi, Armeni cattolici, siriaci e giacobiti, caldei e altri -, tacete! Non aggiungete al nostro dolore la vergogna di un’alleanza con gli assassini.