Le perle di Bashar

Copiate e incollate su un foglio bianco di Microsoft Word sono 17 pagine. Troppe? Noiose? Non direi. Istruttive, perché non si finisce mai di imparare dalla lettura della versione dei fatti fornita dal presidente siriano Bashar al Assad durante la sua ultima intervista rilasciata alla tv statunitense Abc. Al termine di questo esercizio ho estratto alcune perle, che mi sembrano degne di nota. Non sono le uniche, certo. Ma tra tanta offerta bisogna saper scegliere.

1) Ammette i casi di diserzioni, ma “…ogni anno, in condizioni normali, ci sono migliaia di soldati che lasciano l’esercito. Accade nella situazione normale. E con questa situazione ce ne sono un po’ di più, c’è una percentuale più alta. Poi ci sono alcuni ufficiali che lasciano l’esercito per esser contro di noi…”. Ma “non bisogna generalizzare”, ammonisce il presidente.

2) L’Onu, che afferma che in otto mesi e mezzo sono state uccise almeno 4.000 persone in Siria, non ha credibilità. Al Asad ne è convinto: “… è qualcosa che abbiamo ereditato come un credo”. La Siria ha un’ambasciatore alle Nazioni Unite perché… “è un gioco a cui giochiamo. Ma non vuol dire che ci crediamo”. Eppure da quarant’anni il regime degli al Asad basa parte della sue legittimità sulla necessità di restituire agli arabi le terre occupate da Israele, tra cui le Alture siriane del Golan. Da decenni, in ogni testo ufficiale siriano, si fa riferimento alle numerose risoluzioni Onu, mai rispettate da Israele, per la restituzione dei territori occupati. Da al Asad apprendiamo dunque che è tutto un gioco,  a cui lui stesso non crede.

3) Prima ribadisce che una “commissione indipendente” è incaricata di giudicare i presunti “errori individuali” commessi da singoli agenti delle forze dell’ordine o da militari dell’esercito. Successivamente afferma che nessuno sa chi ha ucciso i civili, nonostante siano passati nove mesi dall’inizio delle proteste e dalla creazione della “commissione indipendente”. Il raìs va oltre, affermando che nessuno sa chi ha ucciso i “1.100 soldati”: “se non sappiamo chi ha ucciso questi militari… non possiamo dire chi ha ucciso i civili”. Tutto chiaro, no?

4) Prima afferma di non conoscere il caso del pestaggio del vignettista a Ali Farzat e dell’uccisione di Ibrahim Qashush, autore di una delle canzoni della rivolta. “Non conosco ogni singolo caso”. Poi dice: “In Siria, che è un piccolo Paese, viviamo come un’unica famiglia. Quando c’è un crimine, tutto il Paese ne sente parlare”. Per Farzat l’agenzia ufficiale Sana aveva anche detto che era stata aperta un’inchiesta.