(di Giovanni Maggi). Provo a rispondere all’articolo di Eva Ziedan sul pacifismo italiano perché mi sento chiamato in causa: immagino di far parte dei «pacifisti», di quelli che «non vogliono le guerre».
In risposta alle infinite discussioni su rivoluzione pacifica, fondamentalismo islamico e complotto americano Eva Ziedan invita i «pacifisti» italiani a non costruire teorie e a non pontificare su quello che sta succedendo in Siria, Paese che non conoscono, e a combattere «le vostre battaglie ideologiche sulla vostra e non sulla nostra pelle».
Piuttosto che parlare di quello che succede in Siria – di cui sicuramente so meno dei siriani – vorrei dire qualcosa sui «pacifisti italiani», se non altro per chiarire la mia posizione e con la speranza che questo aiuti a non fare di tutta l’erba un fascio.
Anche a me piace cantare bella ciao, quando mi capita di parlare della Siria con qualcuno anch’io faccio il paragone – secondo me assolutamente corretto – con la resistenza italiana; e fino a poco tempo fa pensavo che se mi fossi trovato in quelle condizioni sarei andato a combattere. Ho iniziato a cambiare punto di vista dopo aver incontrato persone che la guerra l’hanno vissuta (a Sarajevo, nei Balcani) o che alla guerra si sono rifiutati di prendere parte, e per questo sono finiti più volte e per lunghi periodi in prigione (a Firenze abita Pietro Pinna, uno dei primi obiettori di coscienza italiani). Non scrivo mie teorie, riporto invece quello che ho sentito da persone che hanno sperimentato ciò di cui parlano sulla loro pelle.
C’è una distinzione importante, che continua a non essere chiara quasi a nessuno, tra pacifismo e nonviolenza. Dal momento che nessuno normalmente ha il coraggio di dire che vuole la guerra, tutti sono pacifisti salvo poi ricorrere alla guerra come «male minore» in circostanze estreme. Questo è il pacifismo, che è quindi relativo: «non vogliamo la guerra, ma… meglio bombardare che non fare niente», etc. – e a me non interessa.
La nonviolenza, al contrario, è il rifiuto assoluto della preparazione alla guerra, il rifiuto incondizionato e unilaterale della violenza, a prescindere da cosa fa l’altra parte e accettando, consapevolmente, di subire le conseguenze della propria scelta. La nonviolenza è la rinuncia a priori all’uso della violenza. Per combattere servono le armi, per avere le armi servono soldi, e i soldi vengono da chi li ha; chi ha soldi in genere vuole o che le cose non cambino, o al massimo, «che tutto cambi affinché tutto rimanga uguale». Le armi devono essere prodotte, e una volta prodotte devono essere usate.
Pietro Pinna, due o tre anni fa, concludeva la discussione citando Aldo Capitini che sotto il fascismo, nel 1937, scriveva: «Il mondo ci è estraneo se ci si deve stare senza amore, senza un’apertura infinita verso l’altro, senza un’unità tra tante differenze».
Sulla nonviolenza molti hanno già scritto – persone che l’hanno vissuta sulla propria pelle – e quindi non ha senso che io aggiunga altro; Gandhi, Tolstoj (Appello ai russi, 1902), Martin Luther King sono stati tradotti in moltissime lingue, ma pochi di quelli che ne parlano sembrano aver letto e capito quello che pensavano.
Un amico siriano – da sempre contro il regime e che non ha niente a che fare con il pacifismo italiano – ha partecipato giorni fa agli scontri tra Esercito libero (Esl) e le forze del regime a Tadamon (Damasco), «shooting but with camera». Mi ha raccontato di quello che ha visto – corpi fatti a pezzi, cadaveri, sangue – e della sua sensazione che l’«umanità sta cadendo a pezzi». Durante la resistenza Pavese (in La casa in collina) scriveva:
Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l’ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.
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Personalmente, sono assolutamente d’accordo con quanto scrive Eva Ziedan sulla posizione per lo meno ambigua di chi sostiene il «laico» Assad, di chi parla strumentalmente e senza cognizione di causa della complessità del tessuto sociale siriano e di fondamentalismo, di chi cerca di mettere sullo stesso piano il regime e l’Esl – cosa per me inaccettabile – di chi parla di complotto.
Ferma restando la totale legittimità dell’opposizione armata al regime, vorrei richiamare alcuni punti che riporto da discussioni avute con amici siriani e/o da articoli di giornalisti e scrittori siriani:
- La rivoluzione è rimasta pacifica e si è estesa per mesi, nonostante la violenza e le provocazioni del regime.
- L’obiettivo iniziale dell’Esl, nei primi mesi, era quello di garantire la sicurezza dei manifestanti.
- Il numero di morti è vertiginosamente aumentato in seguito alla costituzione dell’Esl e alla decisione di portare avanti una lotta armata non solo difensiva.
- Con la militarizzazione della protesta si è ridotta la partecipazione popolare alla rivoluzione. Prima era la gente a organizzare la protesta, adesso la sensazione dominante è che l’unico a poter fare qualcosa è l’Esl.
- La militarizzazione della protesta ha portato al consolidamento di strutture gerarchiche (il Consiglio nazionale siriano, l’Esl) sempre più lontane dalla gente e finanziate – e quindi in una certa misura influenzabili – dall’estero.
Che risultati darà tutto questo?
Da noi (dove è mancata la fase pacifica) la resistenza ha portato a un sistema politico che ha prodotto, tra l’altro, il terrorismo, la strategia della tensione e le stragi, l’omicidio Moro, lo strapotere della mafia, Andreotti, Craxi, gli attentati contro Falcone e Borsellino, le trattative Stato – mafia, Mani Pulite, Berlusconi, i CPT, il lavoro precario e più in generale un sistema dove chi lavora arricchisce qualcun altro. Certo meglio degli Assad, e il bene assoluto non è raggiungibile. Ma è questa la strada migliore?
«Non ci si può aspettare che da un alberello trasformato in bastone spuntino nuove foglie»
Martin Buber
Se mi permetto queste osservazioni non è a partire da un’ideologia pura e giusta o da una presunta superiorità morale, ma piuttosto alla luce dei nostri errori. E con il massimo rispetto e una grandissima ammirazione per il coraggio e la determinazione di tutti coloro che si oppongono al regime.
Non mi stupirei di scoprire che Machiavelli era uno degli autori preferiti di Assad padre, e pensavo che in Siria la gente avesse voglia di una nuova politica, di farla finita con le politiche del potere imposte sul popolo.
Innanzitutto e’ molto grave, secondo me, sostenere che la resistenza italiana, soprattutto per il valore sociale oltre che politico di allora, abbia generato il terrorismo.
Sul punto secondo il quale la rivoluzione siriana nn e’ piu’ popolare sprtto da quando c’e’ la militarizzazione, e’ indubbiamente vero, ma mi permetto di condividere con voi le osservazioni del mio coinquilino di Homsi al proposito: “ora come ora e’ senza senso protestare, la rivolta e’ passata a uno stadio successivo perche’ con il precedente non abbiamo ottenuto niente. In questa fase, anche se umanamente piu’ difficile da incassare, vogliamo piu’ mostrare al mondo che siam dovuti giunger a questo punto, e che Assad arriva al livello di bombardarci. La gente che non lo supportava ora non ha cambiato idea. La gente non sta li’ a guardare e basta, ma de facto e’ cosi’ purtroppo: l’ ESL ha in mano tutto. Noi come semplici individui abbiamo dovuto affidargli le nostre speranze e basta, dato che in altro modo non siamo stati rispettati”.
A cio’ mi permetto di aggiungere la mia: innanzitutto e’ inopportuno il paragone con dialogare con qualcuno dai Balcani, per quanto tutto il mondo sia paese. Lo so che la violenza e’ violenza e come tale fa sempre schifo, ma a mio avviso ANCHE LA VIOLENZA NON VA OMOLOGATA, in quanto e’ sempre un fatto sociale. I Balcani, come il Libano, forse esigon piu’ “non-violenza” a questo stadio storico in cui si trovano adesso, rispetto a un caso come la Siria, piu’ politicamente, nonostante tutto, “immaturo” – in termini di governo de facto, seppur non de jure – cioe’ ancora nelle grinfie della dittatura. Lo so, e’ opinabile quanto detto se uno si professa pacifista e basta, ma alcuni casi storici secondo me hanno un uso della violenza che va perlomeno PONDERATO con attenzione. Talvolta e’ meno etico censurare tale uso in toto senza perlomeno analizzarlo o storicamente decontestualizzarlo, opinione personale. E come quindi, ponderarlo? RENDERSI CONTO CHE SI TRATTA DI VIOLENZA DI STATO in primis per esempio, nel caso siriano, e da li’ la “legittimazione” del’ESL, come risposta ad esso. Ma da qui a generare TERRORISMO futuro ci passa un oceano intero: i Siriani si dichiarano pacifici, e sottolineano che questo succede NON GRAZIE AL REGIME CHE NON SI ERANO SCELTI (nonostante l’indubbio attuale sostegno al regime da alcune fette di popolazione…). E resteranno pacifici. il diritto a tentarle tutte per “provare la liberta'” non ne fa dei terroristi, non ne cambia la cultura sociale.
Dopo aver letto il commento di Estella ho la sensazione di non aver espresso con sufficiente chiarezza alcuni punti, che considero importanti:
1. Ritengo che la resistenza armata sia totalmente legittima, oltre ad essere – secondo me ovviamente e indubbiamente – un risultato della brutalità feroce del regime.
2. Mi astengo da qualsiasi tipo di “censura etica”. Con che diritto?
3. In Italia la resistenza – sostenuta in parte dagli Alleati – è stata secondo me uno dei momenti più alti della storia del nostro paese; era mia intenzione far notare come, in seguito all’appoggio ottenuto dagli Alleati, nel dopoguerra la politica italiana si sia dovuta allineare su quella statuinitense, che il sistema politico nato dalla resistenza è dovuto essere di tipo capitalistico e che quando è sembrato che questo sistema fosse messo in crisi dal successo delle sinistre in Italia sono iniziate a scoppiare bombe.
4. Era in questo senso che alludevo al terrorismo in Italia, e NON con l’intenzione di tacciare l’Esl di terrorismo, né per evocare suoi presunti legami con il terrorismo del 2000 (come da propaganda di regime) o per suggerire che porterà ad una stagione di “futuro” terrorismo post-rivoluzionario (come non è successo neanche in Italia).
Illuminanti le osservazioni del coinquilino di Homs.
Non si tratta di “diritto a tentarle tutte per provare la libertà” (cosa su cui non c’è nemmeno da discutere tanto è naturale).
Meglio prendere le armi che restare a casa. Volevo solo far notare che non è detto che la violenza sia l’unica via, non è detto che sia la migliore, non è detto che sia quella che darà i risultati migliori.
” Si dice “i mezzi in fin dei conti sono mezzi.” lo vorrei dire “i mezzi in fin dei conti sono tutto.” Quali i mezzi, tale il fine. Il Creatore infatti ci ha dato autorità (e anche questa molto limitata) sui mezzi, non sul fine… La vostra convinzione che non vi sia rapporto tra mezzi e fine, è un grande errore. Per via di questo errore, anche persone che sono state considerate religiose hanno commesso crudeli delitti. Il vostro ragionamento equivale a dire che si può ottenere una rosa piantando un’erba nociva… Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra il mezzo e il fine vi è appunto la stessa inviolabile relazione che vi è tra il seme e l’albero. ”
M. K. Gandhi
Gentile Giovanni, inizio col dire che non sono un’analista politico né una giornalista, quindi mi scuserà se scriverò in modo spontaneo, di getto.
Mentre leggevo il Suo commento alla mia lettera mi veniva in mente la faccia di mio padre, sempre leggevo a lui i miei pensieri contro l’occupazione americana in Iraq e quella israeliana della Palestina.
Lui, ex-comunista, mi guardava orgoglioso.
Ora mi chiedo, cosa avrebbe pensato di me se avesse letto il Suo commento, in cui mi considera come una persona “filo americana”!
Tenterò di spiegare meglio il mio pensiero.
1) La lettera è scritta per i “pacifisti italiani”, per favore guardate bene le virgolette.
Non sono contro i pacifisti come Lei, gentile Giovanni.
Sono contro quelli che dal primo giorno della rivoluzione siriana (quando tutti in Siria cantavano “selmieh selmieh w law qatltom mieh”, ovvero “pacifica pacifica, anche se uccidete 100 persone”) stavano con Asad, perché sostenevano l’idea del complotto globale contro la Siria e dicevano che la Nato sarebbe voluta intervenire e bisognava opporsi a questo.
Sapevamo già che la Nato non sarebbe intervenuta, perché perdere il tempo e sostenere le bugie di Asad, senza esprimere alcuna condanna verso i suoi crimini? O forse sarebbe meglio chiedere a questi “pseudo-pacifisti”, chi gli ha permesso di usare il nome pacifista?
2) Nella lettera innanzi tutto non avevo chiesto e sostenuto un intervento militare e il confronto tra Esl e partigiani italiani l’ho fatto per questi “pacifisti”, per dire di smetterla di “pescare nell’acqua sporca” – come si dice in arabo.
Inoltre, l’aiuto esterno può tradursi con la creazione di una zona protetta per i civili, oppure mandando 40.000 volontari della croce rossa protetti per entrare nelle zone calde e aiutare i civili e i bambini.
Ma ora vorrei chiedere un favore a voi, a voi pacifisti veri, ovviamente, non a quelli finti che ancora difendono Asad (e a cui era destinata la mia lettera).
Vi mando alcune cose che avevo scritto sei mesi fa. Vi chiedo di leggerle, per favore, perché si vedeva che ero contro qualsiasi intervento militare. Sono cresciuta a casa con i nomi di Gandhi, King e Jean Marie Muller!
http://www.sirialibano.com/siria-2/quando-penso-alla-citta-di-salamiyyeh.html
http://www.sirialibano.com/siria-2/siria-dal-venerdi-santo-al-venerdi-del-liberatore.html
Ora non mi metterò a raccontare i massacri di Asad, perché è facile saperne e, come vedo, siete d’accordo con me! Vorrei però raccontarvi di un massacro di Asad, che forse non conoscete. Dovete sapere che ha piantato l’odio tra noi siriani. Impiegheremo anni per risolvere il problema…
Sapete che le gente musulmana NON fondamentalista, ora lo sta diventando?
Come mai?
Quando una città come A’zaz è stata distrutte totalmente, nessuno nel mondo muoveva un dito.
Quando Dayara è stata distrutta, il regime ha mandato una giornalista cristiana a fare un reportage e questa, saltando tra i corpi, in modo meschino ha provato a fare un’intervista a una bambina che aveva la mamma uccisa vicino.
Dove sono le regole dei media internazionali? Si possono intervistare dei bambini in questo modo?
E hanno mandato una cristiana, sapete perché? Per piantare questo odio tra noi siriani.
Yara Shammas, una ragazza di 21 anni, cristiana, che in modo non violento sosteneva la lotta contro i crimini del regime è stata subito arrestata invece. Perché?
Per non far vedere che anche i cristiani sono contro il regime, dal momento che il regime vuole mostrare all’occidente che sta combattendo una rivoluzione religiosa (e poi viene sostenuto dai finti pacifisti).
Ora arrivo alla domanda principale, come possiamo spiegare a queste famiglie che hanno subito tutto questo che bisogna essere pacifisti?
O ancora peggio… come possiamo convincere questa gente a non accettare le armi anche dal diavolo?
È per questo che io chiedo un aiuto immediato a tutti, Onu compresa, perché ormai le armi stanno entrando in Siria e non sappiamo chi le manda.
C’è molto odio ora in Siria, capite?
Basta credere che il regime è aperto al dialogo. Quanti massacri ci vogliono per convincerci che sta giocando in modo sporco?
Ora, l’Esl è una cosa vera, ci sono stati tanti errori, ma questo è un risultato della ferocia del regime e dell’immobilismo internazionale.
Quindi, vi prego, la strada della pace dove la vedete?
Secondo voi è stato facile per me scrivere quella lettera? È stato facile chiedere un aiuto esterno? Non credete che avrei voluto che la rivoluzione fosse pacifica al cento per cento? Forse non lo avete capito, ma io ho scritto quella lettera con il sangue, non con l’inchiostro!
Grazie a Dio non mi considero una saggia e nessuno può controllare i miei pensieri, quindi cambierò la mia idea volentieri se mi dite dove vedete la pace.
Per quando riguarda la Sua frase Giovanni: “Da noi (dove è mancata la fase pacifica) la Resistenza ha portato ad un sistema politico che ha prodotto, tra l’altro, il terrorismo, la strategia della tensione e le stragi, l’omicidio Moro, lo strapotere della mafia…”
Non sono d’accordo, ma al di là di tutto questo, supponiamo che Asad cada e poi i fondamentalisti islamici sostenuti dal complotto sionista-americano prendano il potere in Siria, Le dico: sarebbe meglio mille volte di Asad, perché il popolo che può fare cadere Asad, riuscirà a fare cadere tutti quelli che non rispettano il sangue dei siriani che hanno pagato con la vita e la tortura la loro dignità e la loro libertà.