Libano, ad Arsal tra i profughi di Homs e Qseir

Sull'altipiano di Arsal, 15 febbraio 2012(di Lorenzo Trombetta, ANSA). L’esercito e le forze di sicurezza fedeli al presidente Bashar al Assad si preparano a portare l’offensiva militare, da dieci giorni in corso a Homs e Hama nel centro del Paese, fino a Qseir, cittadina di 40mila abitanti a ridosso del confine col Libano e roccaforte dei militari ribelli.

Lo confermano, parlando con l’ANSA, alcuni profughi siriani fuggiti da Qseir nella vicina valle della Beqaa libanese e che raccontano di un vero e proprio assedio militare con carri armati, Batterie di mortai e di lanciarazzi pronte a entrare in funzione entro le prossime 48 ore con l’obiettivo di punire la cittadina dopo che membri dell’Esercito libero siriano (Els) hanno dato l’assalto alla sede locale della polizia.

Non ha molta voglia di parlare Alaa, 15 anni, appena scappato oltre frontiera da Qseir, ma a domanda risponde: “Ho visto le batterie lanciarazzi. Ci sono tanti carri armati. Siamo fuggiti perché tutti stanno fuggendo. La città si sta svuotando”. Anche Rami è di Qseir ma lavora da anni a Beirut. Prima di partire per la valle della Bekaa e di raggiungere l’estrema località di Arsal, sulle pendici occidentali dell’Antilibano che separa il Libano dalla Siria, aveva detto all’ANSA che “a Qseir si sta preparando qualcosa di grosso e molto pericoloso”.

Rami, come i suoi due fratelli, è ora in cerca di un rifugio per la sua famiglia: moglie e due figli. “Ma i prezzi a Beirut sono troppo cari”. Per questo lui e molti altri abitanti di Qseir pensano di portare i loro cari in una località a metà strada tra Homs e Damasco, “non ancora toccata dalla repressione”.

Come testimoniato dalle foto scattate da Alessio Romenzi, fotogiornalista italiano da settimane a Qseir, nella notte tra il 9 e il 10 febbraio scorso l’Esl è riuscito a occupare la sede della polizia governativa dopo una battaglia costata la vita a 11 agenti lealisti. In un video amatoriale diffuso nei giorni scorsi dal Battaglione al Faruq dell’Esercito libero, il comandante del posto di polizia, il generale Abdel Hamid Sqeiri, e altri 18 tra ufficiali e sottufficiali ammettono di esser stati catturati e diffondono le condizioni poste dai disertori per il loro rilascio: stop ai bombardamenti governativi su Bab Amro, quartiere di Homs che dista pochi km da Qseir, e rilascio di tutti i prigionieri di Qseir.

Stando alle testimonianze raccolte ad Arsal, la risposta del regime è stata quella di circondare la città e minacciare gli abitanti “di radere al suolo tutte le case”. La via di fuga più immediata e sicura da Qseir non è attraverso l’altopiano, ora innevato, che divide la Siria dal Libano e che giunge ad Arsal, località a maggioranza sunnita tradizionalmente ostile al potere di Damasco, bensì la strada pianeggiante che dal confine siriano scende verso Ra’s Baalback, paese cristiano in un oceano sciita dominato da Hezbollah, movimento armato alleato del regime siriano.

“Non abbiamo altra scelta che passare di lì”, afferma Abu Ayman, signore di 60 anni di Qseir, giunto ad Arsal quattro mesi fa. “Sono padre di otto figli”, afferma lamentando l’insufficienza degli aiuti umanitari che ricevono i profughi siriani di Arsal. “In quattro mesi solo un dottore di Medici Senza Frontiere è venuto da noi. Distribuiscono pane e scatolame ma non basta. Così come non bastano coperte e materassi”.

Accanto ad Abu Ayman dorme un bimbo di otto mesi. E’ il figlio di Tareq, giovane di 30 anni fuggito da Khaldiye, altro martoriato quartiere di Homs. “Ho lasciato molti parenti a Khaldiye”, dice Tareq. “Due giorni fa un mortaio ha centrato la casa della famiglia, uccidendo sei tra cugini e zii”. Abu Ayman è certo che non tornerà a Qseir “fino alla caduta del regime”. Ma quando? “Quando Iddio lo vorrà”. (Per ANSA, 16 febbraio 2012)

La foto in bianco e nero nella slide nella home page è stata presa da Internet ed è stata scattata dal fotogiornalista finlandese Niklas Meltio.