(di Raffaele Mauriello*). I guai che la Siria degli al Asad attraversa da quasi un anno hanno fatto intravvedere a molti un conseguente indebolimento della Repubblica islamica. Anzi, secondo molti l’interessamento di europei e nordamericani, da una parte, e della Turchia, dall’altra, alla caduta degli al Asad sarebbe precisamente dovuto al loro programma di contenimento dell’Iran.
Se questo è in parte vero, la nuova realtà geopolitica venuta fuori nel Vicino Oriente dopo l’undici settembre 2001 ci dice anche chiaramente che, dai tempi della rivoluzione islamica (1979) a oggi, l’Iran non è mai stato così forte nella zona. Vediamo perché:
– la caduta di Saddam Hussein per mano degli anglo-americani (2003);
– il conseguente arrivo al potere degli sciiti duodecimani [1] in Iraq, paese che, a differenza della Siria, è ricco di risorse energetiche, confina con l’Iran, e ha uno sbocco a mare non sul Mediterraneo ma sul Golfo Persico;
– la caduta dei Talebani e la de facto collaborazione fra la NATO e l’Iran per la pacificazione dell’Afghanistan, paese che, di nuovo, a differenza della Siria, confina con l’Iran, vede la presenza di un’importante comunità sciita duocedimana, e ha una delle due lingue ufficiali, il darì, che è una variante del persiano parlato oggi in Iran perfettamente intellegibile a un iraniano, e viceversa;
– l’arrivo del Partito di Dio alla guida del governo in Libano con il premier (sunnita) Najib Miqati;
– le attuali inarrestabili proteste “sciite” in Bahrain [2], riportate di rado da TV e quotidiani americani ed europei, ma non per questo non incessanti sul terreno e trasmette puntualmente da al ‘Alam, il canale satellitare in lingua araba della Repubblica islamica campione di ascolti nella piccola isola del Golfo;
– il montare delle proteste sciite in Arabia Saudita [3];
– il continuo successo nella produzione di nuove testate missilistiche;
– l’inarrestabile sviluppo del programma nucleare;
– la fondamentale riforma dei sussidi annunciata da tutti i presidenti succedutisi all’amministrazione del paese ma realizzata solo da Ahmadinejad;
– la nascita di una concreta capacità navale messa in mostra durante i recenti giochi di guerra nello stretto di Hormuz, che pochi sembrano ricordare si trova all’uscita, o all’imbocco se preferite, del Golfo Persico;
– il recente lancio del canale satellitare in lingua spagnola della Repubblica islamica HispanTV [4] (che fa seguito al lancio e al successo di quelli in lingua araba e inglese.
Tutto questo ci racconta una realtà ben diversa da quella descritta da gran parte dei mezzi di comunicazione e da molti politologi esperti di Vicino Oriente. In tal senso, fuorviante appare anche la circolazione di strani studi sul declino del soft power dell’Iran nei paesi arabi seguito alla cosiddetta Primavera araba [5], studi che non tengono conto del fatto che, per dirne una, per la prima volta dalla nascita della Repubblica islamica due paesi prima privi di relazioni politiche ufficiali con l’Iran della portata della Libia e dell’Egitto sono attualmente “invasi” dai reporter dei summenzionati canali satellitari iraniani e vedono membri di tutto lo spettro politico presenziare su tali canali.
Infine, anche il programmato embargo “totale” sulle importazioni di petrolio dall’Iran da parte dei paesi europei – che per inciso rappresenta un insensato suicidio energetico da parte dell’Italia e dell’intera sponda mediterranea del Vecchio continente (a eccezione della Francia), e non a caso entrerà in vigore solo a luglio, dopo il passaggio del Generale inverno –, anche se rappresenta un serio problema per la Repubblica islamica, ha ben poco di totale, giacché meno del 20% del petrolio iraniano è venduto all’Europa [6].
Venendo alla Siria, gli alawiti, il gruppo religioso di cui gli al Asad fanno parte, non sono sciiti come lo sono gli iraniani e, infatti, l’alleanza fra la Repubblica islamica e la Siria è un’alleanza politica, non certo “religiosa”.
A essere quindi indebolito dalla caduta degli al Asad sarebbe l’aspetto puramente politico di tale alleanza, non certo l’utilizzo dello sciismo da parte dell’Iran in termini di soft power. Indicative in tal senso sarebbero le parole attribuite agli inizi di quest’anno al Generale Soleimani (capo delle forze speciali Quds), dal The Guardian. Secondo il ben informato quotidiano inglese, Soleimani avrebbe fatto pervenire al direttore della CIA, il Generale Petraeus, il seguente messaggio: “General Petraeus, you should know that Qassem Suleimani controls the policy for Iran with respect to Iraq, Lebanon, Gaza, and Afghanistan. And indeed, the ambassador in Baghdad is a Quds Force member” [7].
Come si vede, e come si è cercato di evidenziare in queste poche righe, né la Siria né gli alawiti figurano nella proiezione geopolitica considerata oggi vitale dalla Repubblica islamica. Ci sarebbe molto di più da raccontare, ma già una riflessione più accorta su quanto enumerato qui aiuterebbe a stare un po’ più attenti nello scambiare il momento di maggiore forza della Repubblica islamica negli ultimi trent’anni con la sua fine a causa dell’eventuale caduta della “dinastia” degli al Asad in Siria.
* Raffaele Mauriello è un ricercatore esperto di storia contemporanea dell’Islam sciita e di geopolitica. E’ autore, tra l’altro, di Descendants of the Family of the Prophet in Contemporary History: A Case Study, the Shi’i Religious Establishment of al-Najf (Iraq), Suppl. alla “Rivista degli Studi Orientali”, Roma-Pisa 2011.
[1] Su questa questione vedi Raffaele Mauriello, “Crescente sciita, o Grande Medio Oriente sciita” in Atlante Geopolitico Treccani, 2011, p. 340.
[2] “Business as usual in bloody Bahrain”, http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/jan/11/business-bahrain-countess-of-wessex?fb=native&CMP=FBCNETTXT9038.
[3] “Shia protester ‘shot dead’ in Saudi Arabia”, apparso sul sito della BBC il 13 gennaio 2012, reperibile qui: http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-16543013.
[4] Vedi Mitra Taj, “With Hispan TV, the Islamic Republic Habla Espanol Tambien”, apparso il 26 gennaio 2012 su FrontLine a reperibile qui: http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/tehranbureau/2012/01/media-with-hispantv-the-islamic-republic-habla-espanol-tambien.html?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%253A+Tehranbureau+%2528tehran+bureau%2529.
[5] Vedi ApritiSesamo del 12 ottobre 2011: “Il soft power iraniano in caduta libera in Medio Oriente”.
[6] Vedi l’“Informed Comment” di Juan Cole del 2 febbraio del 2012 “Chart: Euro-American Boycott of Iranian Petroleum Would Fail” reperibile qui: http://www.juancole.com/2012/02/chart-euro-american-boycott-of-iranian-petroleum-would-fail.html e l’intervista rilasciata da Sara Vakshouri a Russia Today il 26 gennaio del 2012 “US and EU joining forces to seiza Iran’s oil?, reperibile qui: http://www.youtube.com/watch?v=3lpXnvSvQXs
[7] Saud al-Zahid, “Chief of Iran’s Quds Force claims Iraq, south of Lebanon under his control”, apparso su al-Arabiya il 20 gennaio del 2012, reperibile qui: http://english.alarabiya.net/articles/2012/01/20/189447.html.
L’Iran ha seri problemi di inflazione, i prezzi sono saliti del 40% e il rial si sta svalutando terribilmente, quindi qualche problemino lo ha pure Ahmadinejad che voleva portare il petrolio sulla tavola degli iraniani e invece è rimasto sulla tavola dei bazarì. Nello stretto di Hormuz possono esercitarsi quanto vogliono ma non lo chiuderanno mai, il 60% dell’economia iraniana dipende dal petrolio e da lì ci passa pure il loro greggio soprattutto verso la Cina, le esercitazioni servono solo a tenere in tensione i prezzi internazionali del greggio e quindi limitare l’effetto delle sanzioni senza scontare troppo il proprio oro nero. Se l’occidente avrà in buon senso di farsi i fatti suoi il popolo iraniano riuscirà da solo ad arrivare alla vera democrazia!