Mannaa, bisogna emarginare i Fratelli musulmani

Haytham Mannaa(di Lorenzo Biondi, Europa Quotidiano) È la rivoluzione incompiuta. Delle quattro “primavere” raccontate il 29 febbraio 2012 al convegno della Comunità di sant’Egidio a Roma, quella siriana fa eccezione. In Siria il conto dei morti è in aggiornamento costante. Secondo molti osservatori, la colpa è anche di un’opposizione frammentata in migliaia di rivoli.

A sentire loro – gli oppositori al regime di Bashar al Assad – le divisioni sono superficiali. Alimentate, magari, dalla goffa azione delle cancellerie occidentali. Chiediamo spiegazioni a Haytham Mannaa (foto), esule siriano in Francia e portavoce del Comitato nazionale di coordinamento per il cambiamento democratico (Cnc), un’organizzazione ombrello che riunisce numerose sigle anti-Assad. Insieme al Consiglio nazionale siriano, il Cnc è il principale punto di riferimento per i ribelli al di fuori della Siria.

Si legge spesso che i due gruppi sono alternativi l’uno all’altro. Il Comitato di coordinamento favorevole a una transizione “morbida”, il Consiglio nazionale più oltranzista. Com’è stata accolta allora la proposta avanzata dal presidente della repubblica tunisina di concedere ad Assad l’esilio e l’impunità?

A Europa Mannaa risponde così: «Tutte le sigle dell’opposizione, la nostra e le altre, sono pronte a dare ad Assad questa opportunità, per mettere un freno alla violenza. Se Assad accetta l’esilio siamo disposti a consentirgli di non venir giudicato nell’immediato». Non si tratta di un’amnistia, ma di un rinvio: «La giustizia può aspettare una generazione. Magari io non riuscirò a vedere la giustizia che compie il suo corso, ma mia figlia sì. Non parlo di immunità per Assad, dico solo che è una questione di priorità: la priorità di oggi è cacciare Assad, non ci interessa vederlo morto».

Senza Assad, prosegue Mannaa, il regime ha i giorni contati. Ma non si tratta solo del raìs di Damasco. Il timore di molti è che quelle minoranze che negli anni hanno dato il loro sostegno al regime diventino i capri espiatori della transizione. Mannaa spiega che non c’è nulla da temere, né per gli alawiti né per i cristiani: «Siamo chiari. La rivoluzione non è né sunnita né alawita».

Nessuno scontro tra etnie, rivoluzionari sunniti contro lealisti sciiti. «È la rivoluzione dei cittadini, non di questa o quella confessione. Nel nostro direttivo ci sono sette alawiti, ciascuno dei quali ha trascorso non meno di sette anni in prigione. Sono stati eletti, come ciascun altro di noi». Allo stesso tempo «oggi alcuni sunniti finanziano le milizie shabbiha (i cosiddetti “squadroni della morte” del regime, ndr). Ha capito? Dei sunniti».

Insomma, le minoranze non hanno nulla da temere: «Il nostro sistema politico – continua l’intellettuale siriano, da oltre vent’anni esule in Francia – sarà democratico o non avrà futuro. La gran parte degli islamisti lo capisce, anche se ci sono gruppi che la pensano diversamente: alcuni dei quali, sfortunatamente, hanno l’appoggio di paesi occidentali».

E qui iniziano i problemi. In parte sarebbe colpa delle interferenze degli occidentali. Il portavoce del Comitato lo dice senza troppi peli sulla lingua alla platea del convegno. Gli Stati Uniti stanno sbagliando strategia: «La Clinton ha scelto di schierarsi con una parte sola dell’opposizione, ed è un errore. Così facendo emargina il nostro gruppo, senza capire che l’opposizione è una sola». Una sola, appunto. Ma in una pausa del convegno, parlando coi giornalisti, Mannaa spiega che «alcune organizzazioni, come il Consiglio nazionale siriano che tanto piace agli occidentali, non sono attente quanto noi nel porsi il problema dei diritti delle minoranze».

Sarebbe meglio emarginarle, aggiunge; e invece «un paese come la Francia ha dato un sostegno prioritario a una organizzazione non laica», cioè proprio il Consiglio nazionale. La divisione di fondo sembra ancora quella tra un’opposizione più marcatamente laica (“laicista”, direbbero gli islamisti), e una a base religiosa. La stessa frattura degli altri paesi delle rivolte arabe. Ma in Tunisia gli islamici di Ennahda sono al governo con laici e socialisti. In Egitto i Fratelli musulmani dialogano con i liberali di al Wafd. In questo – anche in questo – quella siriana è tutta un’altra storia. (Europa Quotidiano, 1 marzo 2012).