(di Lorenzo Trombetta, Europa Quotidiano) Mai più esplicito. Il presidente americano Barack Obama ha ribadito al suo collega siriano Bashar al Assad che può continuare a governare in Siria quasi indisturbato, anche se i risultati in questi dodici anni e, in particolare, nell’ultimo anno e mezzo, non sono stati poi così esaltanti.
In un suo discorso lunedì scorso, Obama ha detto che per il momento gli Stati Uniti non prevedono un intervento militare in Siria, ma che «l’uso di armi chimiche cambierebbe» la strategia.
«Fino ad ora non ho dato l’ordine di intervenire militarmente, ma se ci accorgeremo dello spiegamento e dell’utilizzo di armi chimiche, questo cambierebbe i miei calcoli», ha affermato Obama, sottolineando come la questione preoccupa non solo Washington ma anche i suoi più stretti alleati nella regione, in primis Israele. «Se si passerà questa linea rossa – ha affermato – le conseguenze saranno enormi».
«Non possiamo avere una situazione nella quale armi chimiche o biologiche cadano nelle mani di persone malvagie», ha aggiunto il presidente Usa, per il quale «noi siamo stati estremamente chiari col regime di Assad, ma anche con altre forze presenti nella regione». Per questo «gli Stati Uniti continueranno a sorvegliare la situazione da vicino».
In sintesi, gli Stati Uniti e Israele continuano a considerare, come fanno da decenni, il regime di Damasco il miglior garante alla stabilità regionale. Se cade Assad le armi chimiche cadranno in «mani malvagie». Ora sono in mani sicure.
Anzi, in buone mani. Le stesse che hanno ordinato ai Mig di fabbricazione russa di bombardare la cittadina di Azaaz a nord di Aleppo qualche giorno fa (decine di morti, tra cui donne e bambini secondo numerosi giornalisti stranieri indipendenti).
Evidentemente, per gli Stati Uniti e i suoi alleati Assad non ha superato alcuna “linea rossa” ad Azaaz. Questa è invece rappresentata dall’uso di armi chimiche. Non dall’uccisione di civili. Dalle nostre comode poltrone e lontani dalle macerie siriane, possiamo ora spennarci a dimostrare quanto sia “complotto” e quanto sia vera rivoluzione. Quanti barbuti cattivoni pagati dall’estero operavano già all’inizio delle proteste, nella primavera del 2011, e quanti invece erano davvero cittadini che in modo pacifico chiedevano prima di tutto riforme.
Dall’interno della Siria questa è una discussione che sempre più lascia il tempo che trova. Quel che rattrista i siriani, in particolare quelli più colpiti dall’innegabile violenza del regime, è vedere il capo della superpotenza mondiale, che professa rispetto per i diritti umani e che si erge a difensore dei principi di democrazia, dimenticarsi improvvisamente dei diritti umani dei civili siriani.
Perché? Perché in tempi elettorali, e non solo, conta assicurarsi il sostegno degli alleati più influenti, Israele. Che non ha mai nascosto di considerare la minaccia delle armi chimiche come il vero pericolo di un’eventuale caduta di Assad. Sia ben chiaro: un’altra discussione interessante – ma riservata ora ai salotti – è quella sull’opportunità o meno di assegnare alla superpotenza il ruolo di poliziotto-buono del mondo. Qui non si invoca lo sbarco dei marines sulla spiaggia di Tortosa, ma si mette in luce la profonda contraddizione tra retorica e azione politica non solo degli Stati Uniti ma di tutti i leader occidentali (qualche premier o presidente della repubblica europeo ha criticato le parole di Obama?).
Anche perché i siriani che stanno giornalmente sotto le bombe o sotto le raffiche dei mitra degli elicotteri militari se ne infischiano dei calcoli elettorali di Obama. Per loro chi a parole si erge a difensore dei loro diritti, in realtà li rinnega per difendere il nemico di sempre, “l’entità sionista”. E gli alleati europei rimangono in silenzio. Così, nello scegliere a quale santo votarsi, questi siriani non guarderanno certo agli Stati Uniti o ai paesi europei. Anzi, forti di una rinnovata retorica anti-israeliana, cadranno più facilmente nelle braccia aperte dei fondamentalisti.
Ecco perché è troppo facile gridare ora al pericolo di al Qaeda, alle orde di salafiti che giungono da ogni dove per combattere il loro privatissimo jihad in Siria e vedere, dunque, tutti i mali del mondo in un post-Assad caotico e segnato dal radicalismo islamico. Ricordiamolo: anche meno di un anno fa la rivolta siriana non aveva ancora preso questa maligna deriva. Che per il regime e i suoi alleati – dichiarati e non – è una manna dal cielo. I siriani di tutte le Azaaz ringraziano. E giurano di volersi unire alle brigate dell’inferno pur di resistere. (Europa Quotidiano, 22 agosto 2012).
Lascia una risposta