Osservatori in Siria, chi vince e chi perde?

Il rapporto tra Lega Araba e Siria è dominato in questi mesi da numerose “prime volte”. Dopo aver “per la prima volta” sospeso la Siria, membro co-fondatore dell’organizzazione panaraba, il 12 novembre scorso, dal Cairo hanno “per la prima volta” imposto sanzioni economico-commerciali a Damasco.

Sanzioni che, per fortuna del regime degli al Asad, non sono applicate dai tre Paesi arabi confinanti: Giordania, Libano e Iraq. In parte per non danneggiare le rispettive economie (la Siria è al centro della regione), in parte perché i governi di Beirut e Baghdad ricadono, direttamente o indirettamente, sotto l’influenza iraniana, principale alleato della Siria.

E “per prima volta” in assoluto la Lega Araba ha elaborato un protocollo – firmato ieri da Damasco dopo sei settimane di negoziati – per l’invio di osservatori arabi in un Paese membro. Non era mai successo, e lo stesso segretario generale dell’organizzazione basata in Egitto ha ammesso la novità. (Leggi in italiano il testo integrale del protocollo)

Un’ammissione che Nabil al Arabi ha pronunciato per giustificare le difficoltà logistiche e organizzative della missione degli osservatori, i cui diritti e doveri sono definiti in termini generali dal protocollo approvato ieri al Cairo.

Il ministro degli esteri siriano Walid al Muallim (foto in alto a destra), poco prima dell’annuncio formale della firma, è apparso di fronte ai giornalisti accreditati e sugli schermi della tv di Stato per spiegare ai siriani e all’opinione pubblica straniera che si tratta di una vittoria della sovranità nazionale. Che il testo del protocollo è stato firmato dopo che la Lega Araba ha accettato di modificarlo “per il 70 per cento”.

Qualche ora dopo al Cairo, al Arabi ha implicitamente smentito Muallim affermando che il testo finale è stato emendato solo in due o tre passaggi, dove sono stati cambiati alcuni termini: in uno di questi, l’espressione “protezione dei civili” (himayat al madaniyin) è diventata, su richiesta siriana, “protezione dei cittadini” (himayat al muwatinyin).

Rispetto però alla prima bozza, che prevedeva una missione di circa 500 osservatori, rappresentanti di governi e di organizzazioni della società civile, consulenti di vari settori e membri di organizzazioni che lavorano nel campo umanitario, la missione approvata al Cairo comprende – parola del segretario Nabil al Arabi – non più di 150 osservatori, guidati questa volta dal generale sudanese Muhammad al Dabi. E questa sembra una vittoria del regime siriano, che si trova così a dover gestire un esercito assai più modesto di presunti ficcanaso.

Il protocollo – sempre parola di al Arabi – è valido per un solo mese: la missione scadrà il 18 gennaio 2012. E se si considera che la prima squadra di osservatori, formata da trenta personalità e guidata dal diplomatico egiziano Samir Sayf al Yazal, arriverà a Damasco non prima di giovedì 22 dicembre, è plausibile ipotizzare, conoscendo le lungaggini tipiche delle burocrazie, che sul terreno gli inviati della Lega avranno a disposizione non più di due settimane. Muallim ha dal canto suo precisato che la validità del protocollo può essere prorogata di un altro mese, ma che tale decisione richiederà ragioni sufficientemente valide.

Una sconfitta – in termini negoziali – dei siriani rispetto alla Lega Araba sembra invece la presenza, nella lista dei 100 osservatori, di membri di organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani. Era questo uno dei primi nodi che avevano fatto saltare i negoziati tra le parti a novembre: Damasco voleva solo rappresentanti governativi, mentre il Cairo aveva insistito e ottenuto che ci siano anche ricercatori umanitari, già bollati dalla stampa siriana filo-regime come “spie della Nato”.

Gli osservatori saranno divisi in gruppi di dieci, a seconda delle competenze (logistica, commerciale, poliziesca e militare, umanitaria) e si dirigeranno in luoghi diversi, con una formale “libertà di movimento”. Su questo il ministro Muallim è stato chiaro: “Noi gli diremo, ‘questo posto è sicuro, quest’altro non è sicuro’. Poi saranno loro a decidere”. Ma Damasco, nell’ambito del coordinamento con la Lega Araba, saprà sempre in anticipo le mosse degli osservatori.

Interessante sottolineare come, firmando il protocollo del Cairo, il regime siriano ha di fatto ammesso l’esistenza delle milizie lealiste, dette shabbiha. In precedenza, e sempre su SiriaLibano, avevamo raccontato l’episodio, avvenuto durante i negoziati tra Lega Araba e Siria, in cui il ministro Muallim chiede per iscritto ad al Arabi cosa intende quest’ultimo col termine shabbiha: un modo diplomatico per negare l’esistenza di queste milizie filo-regime. Al termine del tira e molla col Cairo, Damasco sembra aver ceduto su questo punto, simbolicamente (e non solo) molto importante.

Infine una annotazione sul fatto che gli osservatori della Lega Araba proverranno molti dai governi dei vari Stati membri, compresi tra le file delle polizie e dei servizi di sicurezza di questi Paesi. Immaginate un poliziotto saudita – dove i diritti umani vengono violati quotidianamente proprio come accade in Siria – visitare le carceri di un commissariato di polizia siriano e al termine della visita redarre un rapporto su questa visita? E tra gli osservatori ci saranno anche i libanesi, che saranno scelti dal ministro degli esteri Adnan Mansur. Quest’ultimo è notoriamente un uomo di Nabih Berri, presidente del parlamento e terminale dei siriani in Libano.