(di Lorenzo Trombetta, Europa Quotidiano). Una «guerra civile guerreggiata» a sfondo confessionale «è in corso in alcuni territori della Siria». In particolare in quelli a maggioranza sunnita «attorno alla regione montuosa» nord-occidentale, abitata tradizionalmente dagli alawiti, branca dello sciismo e a cui appartengono i clan al potere da quarant’anni.
Padre Paolo Dall’Oglio, gesuita romano, da più di tre decenni in Siria e fondatore della comunità monastica di Mar Musa a nord di Damasco, parla di quel che ha visto con i propri occhi nella regione a ovest di Homs, nella Siria centrale e al confine col Libano, durante otto giorni, tra la fine di maggio e i primi di giugno, passati nei territori controllati dai ribelli sunniti.
«Sono andato per cercare di riportare a casa alcune persone rapite». Si tratta di cristiani della regione di Qusayr, tra la porosa frontiera libano-siriana e Homs, epicentro della rivolta e della repressione. Uno dei rapiti, «un uomo di circa 40 anni», è tornato a casa, dopo una settimana dalla sua cattura, grazie allo sforzo di padre Paolo.
«Era pieno di lividi su tutto il corpo», racconta il monaco di Mar Musa. Che il 31 maggio ha partecipato, «costretto dagli eventi», ai funerali di quindici operai sunniti della fabbrica di azoto, uccisi a sangue freddo – secondo gli abitanti di Qusayr – dalle milizie irregolari vicine al regime. «Li hanno fatti scendere dal pulmino sul quale viaggiavano e gli hanno sparato. Uno di loro era muto. Gli hanno sparato in bocca».
Nelle regioni a maggioranza sunnite di Homs, Hama, Idlib che circondano a sud e a est “la montagna” alawita «è in atto una guerra civile». Le aree sunnite, quelle alawite e quelle cristiane «sono interconnesse fra loro, a doppio pettine le une nelle altre». I cristiani si trovano nel mezzo e «il loro enorme disagio è dovuto al fatto che sono perdenti su tutti gli scacchieri».
«Il fronte delle opposizioni musulmane al regime si sta radicalizzando. E più si radicalizza più i cristiani ci andranno di mezzo». Dopo che le forze governative a Qusayr hanno eretto posti di blocco a difesa dell’unica chiesa – quella greco-cattolica – e del quartiere cristiano, e dopo che membri di famiglie cristiane locali hanno partecipato, assieme alle milizie lealiste, alla brutale repressione contro gli abitanti sunniti della cittadina, i ribelli hanno rapito dei cristiani.
«Siamo nel ventre molle di una sofferenza sociale che si esprime anche così, che è molto grave e che si aggrava col passare del tempo», afferma padre Paolo, raggiunto telefonicamente da Europa subito dopo il suo ritorno dalla regione di Homs. «Ci sarebbe un grande lavoro pastorale da fare ma è difficile in questa situazione».
Il viaggio di padre Paolo comincia il 27 maggio su un auto che percorre le strade “ufficiali” dirette a Qusayr. «Ho superato diversi posti di blocco ma nessuno ha mai fatto domande su di me», ha detto il monaco, sul quale da mesi pende un decreto di espulsione, poi di fatto congelato, emesso da parte delle autorità di Damasco.
A Qusayr «sono rimasto ospite in una casa di locali». Musulmani sunniti. «La maggior parte della società locale – musulmana – mi ha favorito e sostenuto per riportare a casa queste persone e cercare di ricostituire la pace sociale. È stato comunque possibile avviare un dialogo serrato per interrompere la serie di rapimenti da parte di milizie fuori controllo ».
Durante il soggiorno a Qusayr «siamo stati per due giorni sotto pesantissimi bombardamenti», racconta padre Paolo. Alla domanda su chi fosse a bombardare risponde: «Gli unici che hanno le bombe», con un riferimento implicito alle forze governative. «Ci sono anche molti cecchini ma questi ci sono da entrambe le parti», ha precisato.
«Una mattina, nell’unico ospedale disponibile – un ospedale da campo gestito dai ribelli – ho donato il sangue per i feriti… Poche ore dopo è ripreso il bombardamento e due persone sono morte sotto le bombe cadute sulla stessa tenda dove mi ero sdraiato per dare il sangue».
Padre Paolo non è rimasto solo a Qusayr.«Mi sono spinto anche verso nord-ovest, oltre l’Oronte», il fiume che nasce in Libano e scorre da sud a nord – per questo è chiamato il Ribelle, al Aassi, in arabo. «Anche lì ci sono grandi difficoltà. Sono passato di lì e avevano appena bombardato un impianto di depurazione dell’acqua…».
Nei giorni in cui è rimasto a Qusayr ha «avuto dialoghi con i rappresentanti delle varie anime di questa opposizione armata». Che è ben lontana dall’essere un’unico fronte compatto ma «è divisa in tante fazioni: c’è l’Esercito siriano libero e c’è la Brigata al Faruq, distinta dal primo, con elementi vicini alla Fratellanza musulmana e a gruppi salafiti».
Ci sono stranieri? «Solo locali. Io non ho visto stranieri, ma non escluderei in nessun modo la loro presenza. Non dimentichiamo che ciascuno di questi gruppi ha la sua contiguità col vicino Libano… che non è un unico corridoio, ma tanti corridoi.
Ciascuno usa il suo, con i propri corrispondenti dall’altra parte. E anche Hezbollah – il movimento sciita sostenuto da Damasco e Teheran – ha il suo corridoio. Loro sono organici al conflitto in Siria. Sono presenti nel territorio siriano in una striscia che va dai tre ai cinque km di profondità, a seconda delle zone». Per tutto questo, padre Paolo definisce la regione che dalla valle libanese della Beqaa fino alla piana siriana dell’Oronte come «una bomba a orologeria».
Il gesuita romano chiude con un auspicio-denuncia: «C’è bisogno urgente della Croce Rossa e degli osservatori internazionali». Per ora e fino a luglio sono operativi in tutta la Siria trecento berretti blu disarmati. «Ce ne vorrebbero trecento solo nella zona di Qusayr!», dice padre Paolo. «Gli osservatori Onu non vengono quando le operazioni militari sono in corso… Sono lì per assistere a un cessate il fuoco, non per assistere ai fuochi d’artificio. La loro missione è molto fragile e si capisce: preferiscono costruire dossier testimoniali a posteriori per offrire delle relazioni credibili alla comunità internazionale, che poi è il Consiglio di sicurezza».
Il 4 giugno Padre Paolo è tornato nel monastero di Mar Musa, ma per il timore della sua incolumità, i ribelli sunniti gli hanno chiesto di non percorrere la strada dell’andata ma di affidarsi a loro per vie non ufficiali. «Al ritorno siamo andati per campi». (Europa Quotidiano, 7 giugno 2012).
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Padre Paolo a Qseir. Al tramonto rompe il suo digiuno giornaliero e cena con i locali. Si parla del “jihad spirituale”, che è il jihad (“sforzo”) più difficile per il credente. Uno dei presenti chiede a Padre Paolo cosa ne pensi dei punti del piano di Kofi Annan, inviato speciale Onu e Lega Araba per la Siria. Padre Paolo risponde, al termine del filmato, che i principi più importanti enunciati nel piano sono quelli del rispetto della libertà di espressione e opinione.
Padre Paolo a Bab Amro, Homs. Giugno 2012.
Un medico dell’ospedale da campo regala lo stetoscopio a Padre Paolo, che ringrazia e saluta.
In merito alle fonti di informazione cristiane su quanto avviene in Siria, quali sono a Suo parere quelle più attendibili? E che dire di Mère Agnès De la Croix, Lei condivide quanto argomentato in quest’articolo? http://vicinoriente.wordpress.com/2012/05/20/la-monaca-di-assad/
Innanzitutto bisogna distinguere tra fonti reali e fonti fittizie. Le prime sono davvero tali perché hanno accesso, tramite loro corrispondenti (formali o informali) sul territorio. Padre Paolo ad esempio è una fonte importante perché non racconta per sentito dire ma racconta quel che ha visto. Ci sono altre fonti interne, come altri gruppi di cristiani – che però non vogliono dire dove si trovano e quanti sono – che conoscono soprattutto in base a ciò che gli viene detto da chi abita vicino i loro conventi e foresterie. Loro riportano la voce dei cristiani siriani che si sentono minacciati dalla situazione. A tal proposito, è bene ricordare che le forze del regime sin dall’inizio hanno posizionato posti di blocco vicino a chiese e all’ingresso di quartieri o villaggi cristiani per mostrarsi “a protezione” di questi luoghi, in realtà inviando il segnale nemmeno troppo implicito che il regime e i cristiani sono sullo stesso fronte. Quando i ribelli sparano su quel posto di blocco, il regime dice ai cristiani: “vedete, vi sparano addosso, ma noi siamo qui a proteggervi”. E alcuni prelati cristiani diffondono questo tipo di notizie in italia. Senza dire l’altra parte della storia. Che invece è raccontata, ad esempio, da Padre Paolo, quando dice che i lealisti hanno piazzato un posto di blocco proprio di fronte l’unica chiesa e che il prete è fuggito da tempo. Chiunque scapperebbe se i governativi si piazzano a due metri da casa in una situazione di crescente scontro. Il prete è però scappato per paura dei cattivoni salafiti oppure per le violenze causate dalla repressione del regime? A questa domanda si risponde in modo diverso, a seconda di come la si pensi. E in Italia, ci sono alcune importanti sigle del giornalismo cattolico che preferiscono appoggiare la linea della “guerra civile sunniti/fondamentalisti contro cristiani e alawiti”, dimenticando o facendo finta di dimenticare la storia di repressione e la strategia del divide et impera su base confessionale adottata dal regime da decenni. Sulla suora di Qara, caliamo un velo pietoso. La Storia,e qualcun altro ben più importante di noi la saprà giudicare.
Su Syria Comment, blog sulla Siria che di tutto può essere accusato tranne che di essere anti-regime, il 9 giugno scorso venivano riportate delle testimonianze di cristiani di Wadi an Nasara (Valle dei Cristiani, a ovest di Homs). Le cito così come le ho lette su SC:
Syria’s Christians are torn between supporting and opposing the regime. Some believe that the regime must be stopped. They fear that as Sunnis are displaced and chased from their own homes that they will prey upon the weaker Christians, taking their homes and apartments. This is already happening in Homs and Wadi Nasara. (See note below) For this reason they blame Assad and want him stopped. Others remain loyal to the regime, believing that a Sunni victory will cause Christians to lose even more.
A friend from Wadi Nasara (The Christian Valley and Marmarita region just north of Lebanon and south of Homs) writes:
My wife is from a village in the Christian heartland of Syria, and her family is telling her and her sisters, the Syrian Army is pounding Aal’Hosn, the Crusader Castle, not far from their village, and also displaced Sunni’s have rented properties in a village not far from her’s called Mar Marita and are refusing to continue to pay rent or leave the village, and it’s creating tension among the villagers and the Sunni’s who moved in. I read your FP article and I understand your points, however, the killing needs to be stopped and although you make valid points for non-intervention, there are ways the world can slow down Assad’s killing machine, without getting involved with boots on the ground or Iraqi style…
this is rapidly evolving into a very clear sectarian war, in that the Alawite villages that surround certain Sunni villages, are taking revenge on the loved ones they have lost who were fighting for Assad….
My wife thinks unless something happens soon to stop Assad, and calm the nerves of the people who are clearly on high edge, the tit for tat vengeful killings will escalate, and soon it will envelope the Christians, as the Sunni’s are starting to quietly / not so quietly raise the rhetoric that the Christian silence is not so deafening to them, anymore…..
Like I said the other day, people renting homes to Sunni’s are now finding out they not only won’t leave, but now, it looks like a great many are not willing to continue to pay rent, telling the Christians, “if you want your money, go get it from your government”……wow…..how long does anyone think THAT, in itself, is going to last, before it explodes…?
molto illuminante e puntuale… grazie!