Pronto, Dayr az Zor?

(di Alberto Savioli*). In una notte come altre, intento a spulciare su Internet la stampa “alternativa”, che qualcuno sostiene essere importante poiché dà una visione non allineata, mi imbatto nei titoli più incredibili: “Mercenari per l’Impero: Amnesty International e Human Rights Watch”, oppure “Siria: i cristiani fanno sapere di essere con il patriota Bashar al Assad!” .

Ci sono anche i video delle manifestazioni pro-Assad (al grido di Allah Suriya Bashar w bas, “Dio, la Siria, Bashar e basta”) in cui, accanto ai difensori del regime, compaiono pacifisti e comunisti italiani, uniti in un unico abbraccio con gli anti-imperialisti di destra.

Mi perdo in questa confusione di idee. Dal torpore e dai miei pensieri mi risveglia il telefono: “Pronto?”; e dall’altra parte: “Marhaba kifak? Ana…” (Ciao, come va? Sono…).

Mi sta chiamando un caro amico, l’amico più caro che ho lasciato in Siria. Appartiene a una tribù beduina al confine con l’Iraq, nei pressi di Dayr az Zor. È sunnita, anche se non è mai stato molto religioso. Dall’inizio del “conflitto” si è sempre tenuto in disparte. Anzi, quando chiedevo come andava mi rispondeva: “C’è una gran confusione, stanno distruggendo il Paese”.

“Ma chi?”, chiedevo io e lui argomentava che lo Stato (non lo ha mai chiamato “regime”) aveva cominciato a reprimere le rivolte, ma che l’instabilità generale nelle campagne era causata da bande armate in movimento, da ladri e briganti che approfittando della confusione rubavano, depredavano, uccidevano e a volte rapivano le persone per chiedere il riscatto alle famiglie. Per questi motivi – mi diceva – non era sicuro viaggiare di notte, ma di giorno era possibile farlo, stando però lontano dalle città in rivolta, come ad esempio Homs.

Da tre giorni lo stavo pensando – sono tre giorni infatti che Dayr az Zor è sotto attacco – e ogni giorno mi dicevo (come spesso accade) “Domani lo chiamo”. Alla fine ha chiamato lui.

“Come va?”, chiedo. Mi risponde che è un disastro, mi dice: “Stanno distruggendo Dayr az Zor”. “Ma chi?”, continuo e il mio amico dice: “Il governo sta distruggendo la città e alcuni villaggi nella zona, uccide la gente, anche i bambini. Con le bombe ammazzano anche gli animali, ho visto molte pecore uccise…”.

Il mio amico non lo sa, ma sono al corrente di quel che fa il regime.

“Ma chi? – incalzo – “Il governo, i salafiti, l’Esercito libero?”. Mi risponde: “Mah… tutti. Il governo e anche al Qaida”. Sostiene che nella sua zona la confusione e alcune uccisioni siano compiute da al Qaida, ma che sia il governo a distruggere in massa le città e i villaggi con le armi pesanti.

“Ma perché?”, chiedo io. E la sua risposta è: “La gente ha cominciato a manifestare, per questo il governo sta distruggendo Dayr az Zor!”

Mi racconta che sono compiute uccisioni di cui vengono incolpate fazioni avverse, per creare delle faide. “Il governo ci vuole mettere l’uno contro l’altro”, commenta. Più volte ribadisce: “Hanno ucciso anche le pecore, molte pecore”. Da beduino, il suo stupore è per l’inutilità delle pecore ammazzate.

“Cosa ci vorrebbe per far finire tutto questo?”, gli chiedo. “Mandateci la Nato, serve la Nato”, dice.

Questa frase mi lascia basito, perché il mio amico ha sempre scherzato sulla Nato, ha sempre dileggiato l’America. Ora, la sua risposta mi fa pensare che in Italia noi pacifisti (mi ci metto dentro anch’io) siamo contrari a ogni intervento armato, condanniamo ogni violenza, non vogliamo ricorrere all’uso della guerra, è vero, ma in Siria la violenza e la guerra ci sono già. E bisogna fermarle perché, mentre noi parliamo, la gente muore ogni giorno.

Il mio amico ha lasciato ieri Dayr az Zor, al momento della chiamata non era già più in Siria. E sul regime siriano sbotta: “Piuttosto che andarsene, distruggeranno il Paese!”.

Poi la comunicazione cade e mi trovo a riflettere su questa telefonata, che forse non aggiunge nulla all’attualità siriana, ma per me dice molto. Dice come una persona, contraria per cultura alla Nato e all’America, ora ne chieda l’intervento. Dice come da posizioni solo leggermente critiche su Bashar al Assad, questa persona sia ora passata, convinta da quello che vede, alla condanna più decisa.

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* Alberto Savioli è archeologo e topografo dell’Università di Udine con una pluridecennale esperienza in Siria.