Siria, dal “Venerdì santo” al “Venerdì del conquistatore”

(di Eva Ziedan*). Da un anno e 34 giorni i siriani sono abituati a manifestare ogni venerdì, all’uscita dalla moschea.

In Siria la legge vieta alle persone di radunarsi e l’unica concessione a questa regola è la preghiera del venerdì in moschea: è per questo motivo che le manifestazioni di protesta si svolgono di venerdì.

I ribelli hanno preso l’abitudine di dare un nome diverso a ogni venerdì, un nome che corrisponde a uno stato d’animo, a eventi nazionali, a personalità o situazioni significative.

Lo scorso anno i ribelli siriani hanno chiamato le manifestazioni del venerdì prima di Pasqua “al-jumʿa al-ʿazima” che in arabo indica proprio il “Venerdì santo”, con l’idea di dare alla “rivoluzione” un’identità siriana e nazionale, che includesse dunque anche i cristiani, in quello che era per questi ultimi un giorno importante.

Durante il “Venerdì santo” si contarono moltissime vittime e alcuni intellettuali – tra cui l’analista politico Hazem Nahar – furono arrestati dal regime, solo per aver proposto questo nome alla manifestazione.

Quest’anno sulla pagina Facebook in cui si mettono ai voti i nomi da dare alle manifestazioni del venerdì, il Venerdì santo cattolico è stato intitolato: “Chi arma un conquistatore è lui un conquistatore” (man jahhaza ghaziyyan faqad ghaza).

Si tratta di un detto (hadith) attribuito al profeta Maometto e si riferisce alle sue conquiste delle città della penisola araba. In arabo si parla di “liberazione delle città” per indicare queste guerre di conquista che avevano come scopo la diffusione della vera fede. Dunque quella frase stava a significare che i musulmani che “armavano” Maometto – sostenendolo in battaglia oppure anche aiutandolo economicamente – erano a loro volta dei “liberatori”, ovvero dei diffusori della fede.

Ma a chi giova usare un detto attribuito a Maometto per intitolare un venerdì di protesta? Al regime, che da sempre sostiene la tesi del complotto esterno ordito dai sunniti del Qatar e dell’Arabia Saudita? Oppure a chi si vuole impadronire di una rivoluzione civile e che appartiene a tutti i siriani?

A riguardo, tra gli intellettuali siriani, Hazem Nahar così si è espresso: “Sembra che il regime si sia alleato con una parte dell’opposizione e insieme collaborino contro la rivoluzione e il suo carattere nazionale”.

Anche Yassin al Haj Saleh, giornalista e analista politico siriano ha commentato duramente questa scelta: “Chiamare il venerdì in questo modo è una cosa mal fatta: è difficile trovare qualcuno a cui piaccia nuocere a se stesso e alla propria causa, più di chi abbia proposto questo nome nel giorno in cui, un anno fa, si faceva riferimento all’unità fra cristiani e musulmani”.

E ha poi aggiunto: “Il regime ha tentato finora di dimostrare come la rivoluzione fosse confessionale (sunnita n.d.t.). Quelli che hanno chiamato quel venerdì in questo modo hanno confermato al regime che la rivoluzione è davvero confessionale, ma non sunnita, solo di una parte dei sunniti”.

L’attrice Hazar al Herk ha allora creato una pagina su facebook proponendo di intitolare il venerdì prima di Pasqua a Faris al Khury, cristiano e che fu per due volte primo ministro e che è considerato il primo grande uomo politico siriano. Oltre a essere un uomo di grande fama, al Khury è un simbolo dell’unità del Paese per cui si adoperò sempre, andando a pregare in moschea a fianco dei musulmani.

Aver dato infatti un nome così connotato dal punto di vista confessionale a un venerdì di festa per i cristiani, è stato forse solo un caso o forse si è trattato di un autogoal involontario dei manifestanti.

Gli attivisti antiregime hanno cominciato a opporsi a quella parte di opposizione che propone questi nomi del venerdì, unendosi al grido di Rima al Dali e Safana Baqle (che qualche giorno fa manifestavano davanti al parlamento): “Fermate le uccisioni, vogliamo costruire una patria per tutti i siriani”.

E infatti sulla scia di questo movimento, lo scorso venerdì, il 13 aprile, il nome più votato è stato “Una rivoluzione per tutti i siriani” che ha battuto l’altro titolo proposto: “Gli eserciti dell’Islam in soccorso a Sham”, ovvero alla Siria. Quale sarà il nome che gli attivisti sceglieranno per il prossimo venerdì?

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*Eva Ziedan lavora come archeologa con l’Università degli Studi di Udine ed è mediatrice culturale Acli.