Proseguono in Siria le epurazioni di intellettuali e teorici della resistenza non violenta al regime. Stavolta è toccato a Salama Kayla, intellettuale di origine palestinese, nato a Bir Zeit nei pressi di Ramallah nel 1955, rifugiatosi dapprima a Baghdad, dove si laureò in scienze politiche, per poi trasferirsi in Siria.
Impegnato prima nella resistenza palestinese e poi nel partito comunista, fu proprio la sua militanza politica attiva a costargli l’arresto e otto anni di detenzione nelle prigioni dell’ex presidente Hafez Al Asad. È diventato una firma nota per i suoi articoli pubblicati su varie testate arabe e per i numerosi saggi politici, oltre che per la sua opposizione testarda al regime.
Lo scorso 24 aprile è stato prelevato dalla sua abitazione e arrestato dai servizi di sicurezza, nonostante le condizioni di salute precarie.
Poi, qualche giorno fa Anwar Bunni, noto avvocato siriano per la difesa dei diritti umani e anch’egli più volte in carcere, ha annunciato sulla sua pagina Facebook che Salama Kayla stava per essere trasferito in un altro braccio della prigione e sarebbe stato di lì a poco espulso in Giordania.
Domanda: perché un regime che si vanta di essere l’unico baluardo contro Israele e “l’unico che difende la causa palestinese”, ha arrestato e poi deciso di espellere questo celebre scrittore e intellettuale siro-palestinese?
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