Siria, la Yazbek sui Comitati di coordinamento

Proponiamo la traduzione di un articolo di Samar Yazbek, scrittrice siriana ora rifugiata all’estero, pubblicato domenica 9 ottobre 2011 sul quotidiano panarabo londinese di proprietà saudita al-Hayat. La traduzione è di Giacomo Longhi. 

Coordinamenti interni, coordinamenti giovanili, o semplicemente coordinamenti. E’ questo il termine su cui si sono accordati i promotori dei movimenti di piazza dell’Intifada siriana.

I coordinamenti si occupano dell’organizzazione delle manifestazioni, della protezione degli attivisti nelle loro case, dell’invio dei soccorsi, della gestione della rete di contatti tra città e province e delle campagne sui social network, delle riunioni interne per definire programmi politici e idee guida. Non a caso i coordinamenti sono diventati un obiettivo permanente del regime e vengono guardati con estremo interesse dall’opposizione tradizionale, mentre forum e conferenze all’estero fanno a gara per accattivarsene il consenso.

Come e da dove sono nati i coordinamenti? Intanto possiamo distinguerli in tre raggruppamenti principali: le Commissioni locali di coordinamento, l’Unione dei coordinamenti e il Comitato generale per la rivoluzione, i quali si sono, in un secondo tempo, fusi e alleati con altri, di più recente creazione. E’ accaduto tra le Commissioni di coordinamento, il Movimento del 17 aprile per il cambiamento democratico e l’Impulso comune della gioventù civile siriana, che assieme hanno formato l’Alleanza del domani. Si pensa che, tra tutti i raggruppamenti nati dal cuore pulsante del movimento di protesta, il Comitato sia la struttura più ampia perché riunisce al suo interno i coordinamenti, le squadre di lavoro e le commissioni.

I gruppi non si sono formati all’inizio della rivolta ma agli inizi dello scorso febbraio, quando sono stati organizzati sit-in di solidarietà davanti alle ambasciate di Egitto, Tunisia e Libia e quando, una quindicina di giorni più tardi, una ventina di ragazzi e ragazze appartenenti a fedi e comunità diverse si sono riuniti per discutere sullo stato delle cose in Siria e hanno sollevato una domanda cruciale: il popolo sarebbe mai sceso in piazza? La risposta che hanno trovato è stata: se non si muove la coscienza dell’opinione pubblica, allora tocca a noi fare qualcosa!

L’idea iniziale era di creare una pagina facebook simile a quella egiziana “Siamo tutti Khaled Said”, in cui poter esprimere le richieste economiche, sociali e di servizi per i cittadini, ma anche mettere in luce il dispotismo del regime. Qualcuno potrebbe obbiettare che imitare l’esperienza egiziana sia stato un errore, viste e considerate le differenze tra i due regimi in termini di politica e di controllo, ma la spinta dell’Egitto era troppo forte per non creare emulazione.

In quel momento, il quadro non era ancora chiaro e lo scenario interno appariva incerto ma promettente. Dopo il 15 marzo, con l’impatto della manifestazione fuori dalla moschea Omayyade a Damasco, il sit-in davanti al Ministero dell’Interno, l’arresto e la tortura dei bambini a Dar’a, e con le prime uccisioni da parte delle forze dell’ordine, le manifestazioni si sono succedute in varie zone della capitale, al Suq Hamidiye così come a Mezze, Baramke, Maydan e Qabun. E’ stato qui che il regime, oltre a tagliare le comunicazioni in tutta la città, ha sferrato la prima ingente retata di arresti.

I ragazzi hanno cercato delle alternative sia all’interno della capitale (la moschea al-Rifa’i), sia nei sobborghi di Duma, Moadamieh, Daraya e altri. La svolta si è avuta col propagarsi delle proteste nella città di Banyas, sulla costa, soprattutto dopo che l’esercito l’ha devastata e dopo che hanno fatto la loro comparsa le prime bande armate del regime, le shabiha. Da allora, il clima si è fatto complessivamente più teso e dal movimento hanno iniziato a emergere dei ragazzi che vi si dedicavano a tempo pieno, ragazzi che si erano incontrati durante le manifestazioni e le riunioni del venerdì.

Anche i gruppi hanno proseguito su questa via, riconoscendosi, conoscendosi l’un l’altro, facendo ampio uso di Facebook e Skype. Nelle università in particolare, i ragazzi che entravano in un gruppo si muovevano direttamente in coordinamento con un altro. L’urgenza di dare delle regole al movimento, di organizzare i sit-in, di definire gli slogan e di concentrarsi sui settori specifici ha condotto alla definizione di una sorta di leadership.

Gli incarichi sono di vario tipo, vanno dalla politica all’informazione, dall’amministrazione alle cure mediche. Sono stati organizzati laboratori di informatica e grafica. I ragazzi, scendendo in strada, hanno inaugurato la vera fase del dialogo e della negoziazione. Per la prima volta si discute animatamente dei concetti di laicità, liberalismo, stato civile e islam politico, della questione del confessionalismo e dei timori delle minoranze etniche e religiose, del ruolo dell’opposizione tradizionale, dei rapporti con l’estero, di pacificità della rivolta, ecc… E se ancora manca una richiesta condivisa dai coordinamenti, non si può negare che il modo in cui i siriani si sono uniti per scoperchiare il baratro e riempirlo, spesso allontanandosi dal movimento politico e sociale, ha del miracoloso.

Adesso che l’Intifada è entrata nel sesto mese, la dimensione umana dello scenario ha un portato epico. Commissioni, enti e associazioni compongono una struttura coerente che lavora sul campo e, al pari del popolo che sta facendo la rivoluzione, rappresentano la sua seconda radice. Sappiamo bene, nella realtà dei fatti, che tra i vari schieramenti corrono differenze sulla visione politica e sulla strategia di transizione, ma ciò non significa che difetteranno di una collaborazione organica.

Le Commissioni locali di coordinamento sono composte, per lo più, dalle classi medie e benestanti, ragazzi, intellettuali e giornalisti, ben adatti a organizzare la rivolta, a documentarne e scriverne la storia (alcuni di loro sono conosciuti e molti sono stati arrestati). L’Unione dei coordinamenti e il Comitato generale per la rivoluzione, invece, attraggono maggiormente i segmenti popolari e rurali. Questi ultimi sono più numerosi e, per questo, nel corso delle manifestazioni, il numero dei martiri tra loro è più alto.

Per concludere, i raggruppamenti sono l’elemento più attivo e importante dell’Intifada siriana. Sono in contatto col movimento di popolo, da esso sono nati e per la sua causa si sono organizzati. Su di loro grava la responsabilità di far convergere gli sforzi all’interno di una grande coalizione, che non cancelli le sue componenti, ma ne coordini la visione politica, i progetti, i programmi, le alleanze e che indichi una leadership politica, non solo di piazza.

Questa coalizione sarà una forza pulsante e compatta contro il regime. E sarà la difesa più sicura per i siriani, dopo che ha iniziato a vacillare la fiducia tra il popolo e la fantomatica opposizione tradizionale, ancora lontana dal formare un fronte politico unito. Questa coalizione non solo colmerà un vuoto politico ma sarà la voce più trasparente per esprimere la volontà dei siriani perché è sorta dai loro vicoli e dai loro quartieri ed è segnata dal loro sangue.